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16/09/2020La formula del bed and breakfast non è certo un’ invenzione della company californiana Airbnb – quel celebre “letto e prima colazione” ha infatti lontane origini anglosassoni – , tuttavia è lei che da qualche anno ha ingaggiato un’aspra battaglia legale contro piccole imprese, startup e consorzi europei che si occupano di ospitalità e nei cui marchi compare la crasi che l’ha resa celebre nel mondo.
Bnb – e non, invece, il tradizionale b&b – è, infatti, una espressione che la società fondata nel 2008 a San Francisco con un materassino gonfiabile (airbed) e la prima colazione, rivendica come propria: per questa ragione ha deciso di portare in tribunale chiunque, nel vecchio continente, la utilizzi per il proprio business. Persino startups che sviluppano software di prenotazione per hotel o piattaforme cooperative dal nome e dal simbolo grafico perfettamente distinguibili da quelli adottati dalla società multimilionaria. Ne sanno qualcosa le italiane Ciaobnb e Fairbnb, destinatarie di una serie di contestazioni partite dalla società americana durante l’iter di registrazione dei rispettivi marchi alla Euipo, l’agenzia dell’Unione europea per la proprietà intellettuale che ha sede ad Alicante, in Spagna. «Tutto cominciò nell’estate 2017 quando depositai il marchio commerciale», racconta l’imprenditore trentino Filippo Battiti, fondatore di Ciaobnb e da due anni anche Ceo di Ciaomanager srl: «Poco prima dell’accettazione della domanda, mi vidi recapitare un grosso plico in cui Airbnb Inc. mi contestava l’utilizzo del suffisso ritenendo che ciò costituiva “un indebito agganciamento, confusorio, alla notorietà della sua piattaforma e del suo marchio”. Al tempo la società era unipersonale e quella contestazione mi preoccupò parecchio: sapevo che una causa del genere avrebbe potuto essere lunga, costosa e molto stressante. Dopo averne parlato in famiglia, presi comunque la mia decisione: risposi punto per punto alle contestazioni del gigante Airbnb senza riuscire però a convincerlo visto che, dopo poco, arrivò una seconda lettera in cui mi dava appuntamento al Tribunale europeo». Assistito a quel punto da uno studio legale bresciano – che ha concentrato la difesa sulle differenze dal punto di vista fonetico e concettuale tra i due marchi -, tra l’aprile 2019 e l’aprile 2020 il giovane imprenditore ha portato a casa il suo successo: il rigetto dell’opposizione di Airbnb alla registrazione (in entrambi in gradi di giudizio) poiché, secondo la Euipo, per il pubblico non sussisterebbe alcun rischio di confusione tra i due marchi.
Diversa è la condizione di Fairbnb, la platform co-op internazionale con il cuore tra Bologna e Venezia, che la lettera di Airbnb l’ha ricevuta nel giugno scorso. «La contestazione è relativa al nostro marchio commerciale Fairbnb.coop, che è poi anche il nostro dominio internet, e che la nostra cooperativa – supportata dai nostri legali – ritiene essere un brand perfettamente distinguibile», spiega Emanuele Dal Carlo, co-fondatore di Fairbnb.coop. «Sappiamo di aziende anche europee, come la Hoodbnb di Amsterdam, che hanno perso la battaglia sul nome avendo in comune con Airbnb solo il termine bnb: ciò, chiaramente, ci preoccupa molto perché è un pessimo precedente quello in cui una corporation elimina un piccolo potenziale competitor tentando di appropriarsi di un termine di uso comune. Noi vogliamo lottare fino in fondo per il nostro nome ma anche per definire una volta per tutte che bnb è un termine libero e a disposizione di tutti. A differenza di parole come Google o Fiat, assolutamente distintive, air, fair, bnb e coop non hanno carattere di distinguibilità quando sono prese singolarmente e quando vengono unite tra loro e si avvalgono di un lavoro grafico originale, allora non c’è alcun rischio di confusione», continua Dal Carlo. «Noi stiamo continuando con la nostra attività senza alcuna intenzione di “spacciarci” per qualcun altro, considerato anche che i nostri scopi sono diversi da quelli di Airbnb: per Fairbnb.coop il profitto e l’affitto turistico sono infatti un mezzo per finanziare progetti sociali. Siamo sinceramente convinti che tra tutti gli argomenti che il colosso può brandire contro i suoi presunti competitors, la rivendicazione di una parola di uso comune ci sembra, francamente, la più scorretta».
Monica Zornetta (Avvenire, 4 settembre 2020)
https://www.avvenire.it/economia/pagine/cos-airbnb-porta-in-tribunale-chi-utilizza-la-sua-crasi