L’intervista. Il manager: “Paese di trucchetti e abusi. La svolta? Puntare sui giovani”
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25/08/2017La storia (vera) narra che un giorno del 1992, quando la cartiera fondata da Luigi Favini aveva raggiunto, e anzi superato, la veneranda età di 2 secoli e mezzo di attività, il magistrato alle acque di Venezia chiese ai suoi esperti di inventare un modo per riutilizzare le alghe brune che infestavano la laguna e i canali di Venezia. Gli ingegneri e i tecnici dell’azienda veneta si misero subito al lavoro e idearono una carta specialissima, realizzata con alghe grezze essicate, micronizzate e aggiunte all’impasto finale, che chiamarono Alga Carta.
Da quel momento la cartiera Favini, fondata nel 1736 in provincia di Vicenza, nel paese di Rossano Veneto, da una famiglia di origini comasche che aveva ottenuto dalla Serenissima Repubblica di Venezia l’autorizzazione a trasformare un vecchio mulino in una fabbrica, non ha più smesso di sperimentare. Partendo da materiali naturali destinati alla discarica, molti perfino di origine alimentare come gli agrumi, le ciliegie, le olive, le nocciole, l’uva, il caffè ma anche gli scarti del cuoio, ha creato carte ecologiche e riciclabili dall’originale aspetto tattile utilizzate per il packaging di molti articoli, e ha affiancato a queste le cosiddette release, impiegate come supporti nella produzione industriale di finta pelle e di tessuti sintetici per la moda, l’arredamento, il settore automobilistico e quello sportivo.
“Shiro Alga carta e Shiro Tree Free, realizzata con fibre di bambù e cotone, sono state le nostre prime operazioni di up-cycling”, spiega il brand manager Michele Posocco, da 20 anni in Favini: “Poi è arrivata la gamma Crush, creata con gli scarti di lavorazione della frutta, di mandorle e di nocciole che sostituiscono la cellulosa fino 15%: senza Ogm, è certificata Fsc perchè rispetta le foreste. E’ seguita la Carta Crusca, anch’essa a ridottissimo impatto ambientale, prodotta in esclusiva per Barilla con il 17% di crusca derivante dalla macinazione del grano, e Remake, un materiale innovativo che contiene residui della lavorazione del cuoio e della pelle”.
Una ricerca che è andata di pari passo con il raddoppio delle dimensioni dell’azienda, ampliatasi nel 1998 con l’acquisto dello stabilimento a Crusinallo (Vb), e del numero di dipendenti totali, che oggi raggiunge le 500 unità. Il tentativo di conseguimento del gruppo olandese Gelderse, nel 2000, ha però portato la Favini alla messa in liquidazione e al suo acquisto, nel 2008, da parte del fondo di private equity Orlando.
“Attualmente esportiamo in 30 Paesi: Europa, Stati Uniti ed Estremo Oriente”, continua Posocco, “abbiamo intercettato anche il prezioso segmento del luxury. Registriamo un fatturato di 160 milioni di euro l’anno, in progressivo aumento, e un margine operativo lordo di 18,1 milioni di euro. Siamo organizzati in tre divisioni: le specialità grafiche e la stampa packaging, la release e la cartotecnica, che rappresenta il 10% del business”.
I prodotti Favini, spiega il manager, sono un mix di sostenibilità ambientale e di ricerca estetica: “Con le carte personalizzate Crush Fagiolo e Crush Lenticchia, realizzate per la Pedon spa con cui condividiamo il progetto “Save the Waste”, abbiamo potuto risparmiare il 15% di cellulosa proveniente dall’albero e abbassare del 20% l’emissione di gas serra. Crush Fagiolo, inoltre, è stata premiata con l’Oscar dell’Imballaggio 2016”.
Dal 2009 il gruppo è anche coinvolto in un progetto in Madagascar insieme con l’associazione Voiala-Madagascar per sostenere lo sviluppo rurale del territorio. “Per il 2017 e il 2018 abbiamo in programma campagne educative-formative per insegnare alle comunità a usare le infrastrutture che realizzeremo entro la fine del 2018: daremo il nostro supporto tecnico per le attività agricole, contribuiremo a costruire scuole, un magazzino per il grano e a creare un frutteto”.
Monica Zornetta (Avvenire, 23 agosto 2017)