San Lazzaro. Da trecento anni in laguna c’è un’isola d’Armenia

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Trecento anni fa un piccolo gruppo di monaci armeni fuggiti da Modone, porticciolo della Morea Veneziana nel Peloponneso, e ancor prima da Costantinopoli, teatro di tante tensioni politiche e religiose, si insediò su un isolotto abbandonato situato proprio al centro della laguna di Venezia e vi costruì un monastero. Era l’8 settembre 1717. I monaci, circa una dozzina, appartenevano alla giovane Congregazione mechitarista, legata alla chiesa cattolica, che l’abate Mechitar (nato nel 1676 a Sebaste, l’attuale Sivas turca) aveva fondato qualche tempo prima per conciliare la Chiesa di Roma con quella armena, divise da incomprensioni e paure. Sugli armeni cattolici, infatti, si riversavano le ostilità e le diffidenze degli armeni ortodossi e dei cattolici romani, con aperte accuse di “inferiorità” culturale e spirituale nonché con false imputazioni di ambiguità teologica e dogmatica.

L’isola di San Lazzaro in una incisione del Coronelli (1696)

L’isolotto era di proprietà di una Congregazione assistenziale potentissima in città, quella di San Lazzaro dei Mendicanti, che in precedenza lo aveva adibito a lebbrosario. I religiosi vi approdarono dopo un faticoso mese di navigazione a bordo della nave da carico San Cirillo: avevano lasciato Modone – e il grande monastero da loro eretto, pezzo per pezzo, a mani nude – mentre soccombeva al fuoco e alle fiamme della guerra dichiarata dall’Impero ottomano contro i veneziani, e accettato l’offerta dell’ex Provveditore della Morea, Alvise II Mocenigo, di prendere lì dimora. Il 26 agosto il Senato veneziano, presieduto dalla Serenissima Signoria con a capo il doge Giovanni Corner, firmò il nulla osta e l’isola venne così accordata in perpetuo ai monaci, che misero ufficialmente piede su quella terra l’8 settembre 1717, il giorno della Natività della Beata Vergine Maria a cui Mechitar dedicò la propria vita e quella della sua comunità.

A San Lazzaro il 41enne abate poté esprimere – anche attraverso la costruzione del monastero – la sua complessa visione spirituale e culturale: una visione fondata sui voti di povertà, castità e obbedienza; aperta all’integrazione, nell’ordine religioso, di pratiche mutuate da altre tradizioni, come la preghiera del Rosario; nella volontà di avvicinare il mondo occidentale a quello orientale.

Mechitar, inoltre, infuse all’anima della sua Congregazione un’attenzione particolare verso il bello e il culturalmente “elevato”, poiché era convinto che essi completassero e riqualificassero l’uomo, avvicinandolo al divino. Con tale spirito si impegnò a rivitalizzare la gloriosa cultura armena, agonizzante da ormai tre secoli, traducendo e pubblicando – in quella Venezia che fin dal Quattrocento era la considerata la capitale mondiale della stampa – una cinquantina di testi scritturali, spirituali, teologici e classici. A sostenere economicamente i suoi sforzi c’era la piccola comunità armena, composta principalmente da mercanti, presente in città fin dal 1200.

Frontespizio del Dizionario (1749)

Nel 1730 l’abate pubblicò la Grammatica della lingua armena, tre anni dopo un’edizione armena della Bibbia – donata a Papa Benedetto XIV – mentre, nel 1749, dette alle stampe il Dizionario della lingua armena, prezioso frutto di uno studio intenso durato 18 anni. Queste opere, insieme con altri 4500 manoscritti miniati raccolti nell’arco di tre secoli, sono oggi custodite all’interno del monastero, in una sala che vanta la terza più grande concentrazione di codici armeni dopo il Matenaradan di Yerevan e il Patriarcato armeno di Gerusalemme.

G.G. Byron in un ritratto di Richard Westall (1813)

Simbolo dell’impegno erudito dei mechitaristi è anche la Biblioteca monumentale, con i suoi 170 mila volumi antichi e moderni, in armeno e in varie lingue orientali e occidentali.  Per celebrare i 300 anni della fondazione del convento – che ospitò, tra il 1816 e il 1817, anche il poeta inglese George Gordon Byron – la comunità ha organizzato una serie di eventi religiosi e culturali che si concludono oggi con la Messa celebrata dal Delegato pontificio per la Congregazione mechitarista insieme con il Patriarca; l’inaugurazione alle 15.30 di una mostra sulla storia dell’abbazia e, alle 17, un concerto di musica corale armena, sacra e popolare.

Monica Zornetta (Avvenire, 10 settembre 2017)