Ancora violenze sui Mapuche. Desapariciòn Maldonado: spunta il nome di Benetton ma per il giudice il giovane sarebbe annegato. L’1 ottobre manifestazione in Plaza de Mayo
23/09/2017Il genocida Astiz: «Mapuche, terroristi da combattere» e su Maldonado difende la Gendarmeria. I parenti delle vittime: con questo governo democrazia in pericolo
06/10/2017Per qualche tempo una squadra di “barbe finte” allestita dal Centro de Reuniòn de Informaciòn Nequèn della Gendarmerìa nacional, la forza di sicurezza dipendente dal ministero della facoltosa ereditiera Patricia Bullrich1, avrebbe spiato la famiglia Maldonado, i suoi amici e persone vicine. Ciò sarebbe avvenuto in maniera illegale, vale a dire senza alcun ordine da parte del giudice, Guido Otranto, e senza che fossero state informate altre autorità giudiziarie2. A svelare questo retroscena decisamente inquietante sono le indagini che la Polizia federale argentina, coordinata dal 54enne giudice federale Gustavo Lleral (di recente succeduto ad Otranto, ricusato), sta svolgendo sui telefoni e sui computer sequestrati ai gendarmi di Esquel e di Bolsòn che tra il 31 luglio e il 1 agosto scorso – giorno della desapariciòn di Santiago – erano presenti al rastrellamento contro la comunità Pu Lof en Resistencia nel dipartimento di Cushamen3. Non è stato ancora accertato se l’attività di acquisizione clandestina di informazioni abbia coinvolto anche il 28enne tatuatore nei giorni precedenti alla sua scomparsa: solo la conclusione delle analisi sui dischi fissi dei pc lo potrà confermare.
Di questa equipo de espiones avrebbe fatto parte anche il comandante della squadra 354 di El Bolsòn, Fabiàn Arturo Mendez: lo stesso che qualche settimana fa alla domanda «Donde està Santiago Maldonado?» aveva risposto, accorato: «Dio vuole sapere dove si trova. Si deve conoscere la verità». Nella stessa occasione Mendez aveva aggiunto di «mettere la mano sul fuoco» per i compagni coinvolti nell’azione poi sfociata nella desapariciòn dell’artigiano, e spiegato quella che, a suo dire, è stata la dinamica dei fatti5. Il comandante, – come ha riportato Sebastian Ortega su Cosecha Roja – risulta oggi essere il detentore di molteplici files (ben 7 documenti in formato word e in pdf custoditi nel suo cellulare) riferiti ad informazioni di intelligence sulla comunità Mapuche di Cushamen; sulle manifestazioni che si sono svolte nel territorio ai piedi dei monti Piltriquitron, nella provincia del Rìo Negro; sulla Volkswagen di Julio Saquero, il componente dell’Assemblea permanente per i diritti umani nella Comarca Andina che ha patrocinato la causa sulla scomparsa forzata del giovane6; sugli spostamenti anche extra argentini – in Uruguay, Paraguay e Cile, per esempio – di Santiaguito, come lo chiamava la nonna, e di altre persone. Tra le prove in mano agli investigatori c’è anche un messaggio whatsapp in cui Mendez viene informato sui movimenti dei Maldonado a El Bolsòn. Il più spiato, attraverso pedinamenti ed intercettazioni telefoniche, risulta essere Sergio, fratello maggiore di Santiago e rappresentante della famiglia nella causa giudiziaria. Un altro documento di una certa importanza è quello elaborato pochi giorni dopo l’operativo in Chubut dal Centro de Reunion de Informacion Neuquèn della Gendarmeria, di cui anche chi scrive è entrato in possesso. Qui la prima pagina: .ACONTECIMIENTOS-DIA-31-JULIO-AL-04-AGOSTO.docx-1-1.pdf
Tale relazione mostra, in forma di grafico e con qualche svista sui nomi – l’hermano Sergio Maldonado diventa, nella quarta pagina, Santiago Maldonado7– la dettagliata cronologia dei fatti, anche di polizia, a partire dal 31 luglio e fino al 5 agosto ponendo in particolare risalto le prime manifestazioni popolari organizzate nelle provincie patagoniche in favore dei Mapuche, e per reclamare la riapparizione in vita di Santiago. Tra i fatti riportati dalle spie vi è anche la protesta organizzata lo scorso 31 luglio dalla comunità Pu Lof en Resistencia davanti al Tribunale di Bariloche, conclusa con il fermo di 9 persone. Il lavoro degli investigatori ha rivelato che poco dopo el desalojo del 1 agosto almeno sei dei gendarmi dello squadrone 35 (compreso l’agente che ha ammesso di aver colpito un manifestante con una pietra) hanno richiesto ai propri superiori di usufruire di alcuni giorni di licenza dal lavoro. A certificare ciò è un documento, datato 10 agosto, che porta la firma del comandante Fabiàn Mendez. Inoltre, è stato accertato che un furgone della Gendarmeria ha percorso più di 600 chilometri e che due degli agenti impegnati nell’operativo erano rientrati alla base alle 5.30 del mattino successivo.
“Ti avverto che sono venuto a portare un detenuto a El Bolsòn”, ha detto uno degli agenti ora sospettati in un messaggio telefonico senza data e senza ora. Lo stesso agente è menzionato anche in una conversazione tra due gendarmi in cui l’uno raccomanda al’altro di chiedere a Yucra che cosa devono fare dopo tutto il resto. Il lavoro degli investigatori si sta concentrando anche sul capo di gabinetto della sicurezza interna del ministero di Bullrich, Pablo Noceti, avvocato di parecchi repressori della passata dittatura militare. Come riporta Tiempo Argentino il funzionario, accusato di aver coordinato la violenta azione repressiva (e, secondo alcuni testimoni, fisicamente presente nel luogo), avrebbe mentito dichiarando di non aver mai comunicato con chi comandò gli squadroni nel dipartimento di Cushamen: Noceti, secondo il quotidiano, avrebbe invece comunicato prima, durante e dopo la retata con Fabiàn Mendez e con il di lui pari grado Juan Pablo Escola, della squadra 36 di Esquel. A rivelarlo, anche in questo caso, sono alcune conversazioni telefoniche.
In attesa dei risultati delle analisi sui dischi fissi dei computer, nonchè dall’apertura di ulteriori telefoni da parte della Dirección general de Inteligencia criminal de la Policía federal per un esame più approfondito del loro contenuto, l’ansia è palpabile e coinvolge le forze di sicurezza e, appunto, il governo, accusato di aver coperto questo umiliante “patto del silenzio”.
Il 1 ottobre, a Buenos Aires, nel corso della grande mobilitazione organizzata dalla famiglia Maldonado, i fratelli German e Sergio lo hanno espresso con chiarezza alle migliaia di persone riunite in Plaza de Mayo: «Il tema della scomparsa di Santiago è politico fin dal principio. Fin dal momento in cui la Gendarmeria se l’è portato via, poiché questa istituzione è subordinata al governo […] io8 mi domando: Dove sono che non li vedo? Dove sono i politici che vogliono che Santiago ricompaia? Sono venuti Carriò9, Peña10, Macri, Bullrich? […] Sono passati due mesi e ancora non ho visto nessuno. Coloro che non vogliono che lui riappaia sono una manica di infami bugiardi, politici di quarta,
la sola cosa che sanno fare è screditare la gente che chiede una risposta, come coloro che sono qui presenti e come tutto il Paese. Loro sono i responsabili. Loro, che hanno la faccia di pietra, che si assumano le proprie responsabilità e smettano di scaricare il fardello sugli altri. Bullrich ha detto al Senato, un paio di settimane fa, che era facile gettare due gendarmi dalla finestra; ora, invece di due gendarmi», ha concluso il fratello dell’artigiano, «dovrai buttare un paio di squadroni dalla finestra». E mentre la società civile non smette a chiedere a gran voce, preoccupata e arrabbiata, «Donde està Santiago? Que paso?» e anche l’Onu raccomanda al governo di aumentare gli sforzi per trovare Santiago, il nuovo giudice sta
scoperchiando un vero e proprio scrigno di Pandora. Per farlo non esita ad andare ad ascoltare i componenti della comunità Mapuche en Resistencia a Cushamen, come è accaduto l’altro ieri. Arrivato senza scorta e accolto in quella che la comunità chiama la guardia, Gustavo Lleral ha raccolto la testimonianza di due dei suoi componenti presenti alla retata del 1 agosto. Tornando a Pablo Noceti, Ricardo Ragendorfer scrive, nel Tiempo Argentino, che il magistrato lo ha posto in una “zona rossa” , dal punto di vista penale, per via dell’incrocio di chiamate: una “misura chiave per calibrare la sua responsabilità nella sparizione forzata di Santiago” e in precedenza negate da Otranto. “Una possibilità che”, sottolinea Ragendorfer nell’articolo, “preoccupa e inquieta parecchio il personaggio. E’ così che nei giorni scorsi, durante una riunione con alcuni assessori nella sede del ministero, le grida di Noceti sono filtrate dal suo ufficio: «Se vogliono il mio cellulare non glielo darò mai, mai mai!» avrebbe detto e, già fuori di sé, aggiunto: «Lo butto per terra e lo rompo in mille pezzi!».
Sembrano essere in molti, dunque, ad avere paura di Santiago. Specie ora che la coltre di nebbia sta cominciando a dissolversi. Patricia Bullrich, che con il suo contestato ministero ha sposato appieno la linea nordamericana delle “nuove minacce” – fatta di repressione di ogni forma di protesta sociale11, demagogia punitiva e persecuzione dei funzionari del governo precedente – da qualche settimana non rilascia dichiarazioni alla stampa12 . Probabilmente ha capito che la vicenda Maldonado sta rischiando di trasformarla in un ingombrante cadavere politico.
1 Per sapere chi è Patricia Bullrich rimando al mio articolo “Santiago Maldonado la mobilitazione internazionale, il governo Macri e le elezioni di ottobre” https://www.monicazornetta.it/la-desaparicion-di-santiago-maldonado-la-mobilitazione-del-paese-il-governo-macri-i-diritti-umani-e-le-elezioni-di-ottobre/
2 La zona che comprende Esquel, El Bolsòn e Trelew non è affatto nuova a denunce di spionaggio illegale. Nel febbraio di quest’anno sono stati processati un agente dell’Agencia federal de Inteligencia de Trelew, due poliziotti e due funzionari della Giustizia poiché accusati di aver organizzato una squadra di intelligence su Huala Jones e le comunità Mapuche, su giornalisti, militanti e dirigenti sociali nonché su politici della regione.
3 Pu Lof en Resistencia era impegnata in un blocco stradale presso la Ruta 40 per chiedere la liberazione di Facundo Huala Jones. Tra loro c’era anche Santiago.
4 Lo squadrone 35 di El Bolsòn partecipò alla violenta azione contro la comunità originaria insieme con l’unità 36 di Esquèl
5 In un’altra intervista, rilasciata questa volta a “Periodismo para todos”, Fabiàn Mendez ha raccontato di essere stato chiamato e minacciato dal deputato del Frente para la Victoria Gustavo Vera. Il deputato, interpellato successivamente, ha confermato di averlo contattato e di avergli detto di sapere quel che era accaduto a Santiago, chiedendogli contestualmente di confessare così da ritrovare il corpo e dargli una sepoltura cristiana.
6 Attraverso una richiesta di un hábeas corpus preventivo in virtù «della minaccia attuale, imminente e potenziale che patiscono i componenti della comunità Mapuche Pu Lof en Resistencia di Cushamen, Chubut, i famigliari e gli amici di Santiago Maldonado, i difensori dei diritti umani, i lavoratori della stampa e i testimoni d’accusa nella causa».
7 L’annotazione porta la data del 4 agosto, quando l’artigiano era scomparso da 3 giorni
8 German Maldonado
9 Elisa Carriò, avvocato e deputato in corsa per le presidenziali nel 2003 e 2007, oggi candidata per la città di Buenos Aires. Ad agosto, in un tweet, aveva suggerito che la sparizione di Maldonado poteva essere una invenzione kirchnerista; pochi giorni dopo è ritornata sul tema, dicendo che «Il kirchnerismo e gli organismi dei diritti umani vogliono che resti morto».
10 Marcos Peña, politologo, attuale capo di gabinetto dei Ministri designato da Mauricio Macri. Ha escluso fin da subito il coinvolgimento della Gendarmeria e del governo. Pochi giorni fa ha risposto alla famiglia Maldonado dicendo che non si possono condannare tutte le istituzioni per l’errore di qualcuno.
11 L’episodio più recente ha interessato alcune facoltà dell’Università di Buenos Aires. Pochi giorni fa la segreteria delle politiche universitarie ha diramato un comunicato in cui segnala un aumento delle denunce contro l’istituzione universitaria in relazione alla trattazione dei temi della desapariciòn forzada e della vicenda di Santiago Maldonado.
12 L’ultima volta è stato il 22 settembre scorso quando – a riportarlo è Ricardo Ragendorfer nel Tiempo Argentino -, commentando le affermazioni di un gendarme presente alla retata del 1 agosto, Patricia Bullrich aveva fatto cenno a 4 fucili con munizioni non letali e ad altre armi, poco o non funzionanti, che coinciderebbero con quelle annotate dall’ex giudice Guido Otranto. Tuttavia si è appreso dell’esistenza di una fotografia in cui si vedrebbe chiaramente la presenza di un’altra arma, mai citata prima: un fucile a canne mozze Bataan calibro 12,70. Un’arma che, secondo gli investigatori, costituirebbe una prova di grande rilevanza.