Le donne fanno grande la Maeg Costruzioni
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23/10/2021Avete un giardino sotto casa? Bene, allora siete le persone più fortunate del mondo. Il giardino, infatti, anche il più semplice o il più minuscolo, è la massima espressione di quel concetto di sostenibilità su cui da tempo si concentrano molte delle politiche globali per il futuro. Il giardino è un biosistema in equilibrio, è un sito a portata di mano che più di altri ci aiuta a metterci in relazione con la natura, ci mostra come rendere possibile uno sviluppo sociale virtuoso e democratico, ci insegna a prenderci cura del patrimonio, a curarlo in maniera particolare, quasi archetipica, anziché continuare a sfruttarlo per trarne profitti e vantaggi esclusivi.
Dovremmo tenere a mente queste cose quando coltiviamo il nostro giardino o quando semplicemente ne vediamo uno. E la città? Che cosa significa per la città, ogni città, il tema della sostenibilità? Che cosa deve fare, giorno dopo giorno, una civitas per diventare realmente sostenibile, proprio come un giardino? E’ una serie di quesiti su cui si concentrano molti dei dibattiti in corso a livello globale e che investe anche luoghi storici di grande complessità come Venezia, il cui fragilissimo ecosistema è da troppo tempo messo in ginocchio da un turismo di massa mortificante e dannoso.
Lo scorso luglio, in occasione del G20 dell’Economia, proprio nella città lagunare è stato siglato un accordo tra ministri, amministratori pubblici e privati e rappresentanti delle istituzioni accademiche per dare vita alla Fondazione Capitale Mondiale della Sostenibilità e, attraverso una “Biennale della Sostenibilità”, tentare di rendere l’ex capitale della Serenissima un centro universale per il dibattito scientifico e culturale sul tema. La Fondazione, che avrà la propria sede alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, punta alla crescita sostenibile del territorio e alla realizzazione della transizione energetica attraverso la creazione di un polo dell’Idrogeno e il sostegno alla decarbonizzazione e alla circolarità, ma si propone anche di avviare VeniSIA, l’acceleratore di progetti innovativi per la lotta ai cambiamenti climatici ideato dall’Università Ca’ Foscari Venezia, e di rilanciare l’offerta formativa per trasformare Venezia in un Campus a livello mondiale. Le linee di intervento della Fondazione prevedono, inoltre, la riqualificazione della città attraverso un piano di residenzialità (il cui obiettivo è riportare nel centro storico decine di migliaia di nuovi residenti e studenti), la difesa dell’ecosistema lagunare, la gestione dei flussi turistici anche attraverso l’utilizzo del digitale e la promozione del suo patrimonio artistico e culturale. Tutto questo per una spesa stimata di 2,5-4 miliardi di euro derivati da fondi ma anche da finanziamenti pubblici e privati, come da allegato A DGR 278 12 marzo 2021.
Il governatore del Veneto Luca Zaia ha definito il progetto “uno dei big bang della storia”. Ma è davvero così? Basteranno simili iniziative per trasformare Venezia in una città sostenibile, o, come preferisce dire il filosofo Massimo Venturi Ferriolo, studioso di fama mondiale del paesaggio e a lungo ordinario di Estetica al Politecnico di Milano, «vivibile»?
«In parte si, ma solo se si lavora seriamente alla creazione di un nuovo tipo di turismo. L’amico e collega Ippolito Pizzetti, indiscusso maestro del giardinaggio italiano, è stato il primo a definire Venezia “un giardino”: ciò significa che, come accade in un giardino, Venezia va salvaguardata da tutto ciò che la può danneggiare. Il turismo mordi e fuggi, per il giardino-Venezia, è come un enorme sciame di cavallette infestanti mentre un’amministrazione seria, che interviene avendo a cuore il futuro della città anziché il solo fare cassa, è come un giardiniere che estirpa le erbacce permettendo così al giardino di respirare e di vivere. E’ necessario avere cura dei luoghi, di tutti i luoghi», continua Venturi Ferriolo, che all’argomento ha dedicato numerosi libri tra cui il più recente, “Oltre il giardino” (Einaudi, 2019), «al di là dei proclami e della propaganda, perché ciò significa creare relazioni che coinvolgono tutti e significa anche, in ultima analisi, creare democrazia. Una città sostenibile, qualsiasi città, penso anche a Milano, dove vivo, non è quella dei giardini verticali o degli alberi in piazza Duomo ma è una città che crea e fortifica le fondamentali relazioni tra esseri viventi, e mi riferisco agli esseri umani, agli animali, ai vegetali, ai minerali. Appena vediamo un po’ di verde siamo abituati a pensare che quella sia la natura, ma la natura siamo noi e lo è ciò che ci circonda e tutto deve essere vivibile». Secondo lo studioso, «costruire foreste verticali e boschi rampicanti in centro città non è sostenibile: basta pensare ai costi che questi progetti hanno, tra manutenzione, consumo d’acqua e tutto il resto; sono semplicemente delle enclaves per benestanti in cui il verde diventa niente più che un pretesto. Nel suo “Laudato Sii” anche Papa Francesco critica questo tipo di ecologia di classe quando sostiene che i problemi ambientali si risolvono solo insieme alla povertà poiché gli uni sono connessi agli altri. Se non smettiamo di contrapporre l’uomo alla natura e non cogliamo il nesso tra l’ecologia e il sociale», è ancora il pensiero di Venturi Ferriolo, «se non accorciamo la distanza tra i ricchi e i poveri e non rendiamo i centri urbani accessibile a tutti, ci allontaniamo sempre più dall’idea di città libera e plurale concepita dai greci, cioè dalla polis, intesa come il più alto prodotto della natura».
Partecipare alla trasformazione e alla gestione della città significa dunque partecipare alla realizzazione di una democrazia di prossimità nel governo del territorio. «E’ previsto dalla legge, dalla Convenzione europea del Paesaggio del Consiglio d’Europa del 2000: ciò significa, per esempio, che non si può trasformare un campo sportivo in un centro commerciale senza coinvolgere nella discussione gli abitanti poiché quell’intervento andrà a mutare l’aspetto del quartiere e ad incidere sul tessuto sociale». Sostenibilità, o vivibilità, significa anche non buttare fuori dalla città-trasformata i più poveri, non ghettizzarli, perché, conclude, «la città è un bene comune e i progetti del futuro dovranno tenere conto necessariamente anche delle relazioni sociali e ambientali che si sviluppano al suo interno».
Monica Zornetta (L’economia civile – Avvenire, 6 ottobre 2021)