Dalla moda all’arte, i tessuti per uscire dai ghetti della Nigeria
28/09/2018La storia. Gli occhiali di legno che montano tradizione e cultura del Cadore
23/12/2018Trasformare il circuito Airbnb da fenomeno che “turistifica” pesantemente la città – come si usa dire italianizzando il termine inglese touristify – stravolgendone spazi e identità, a opportunità concreta di rivitalizzazione degli spazi urbani e di recupero equilibrato e sostenibile del tessuto sociale. Non è fantascienza ma è l’obiettivo che si è posto il gruppo di attivisti e ricercatori di FairBnB, la nuovissima piattaforma “equa e solidale” nata a Venezia (in totale sintonia con quelle, gemelle, sorte a Bologna, Amsterdam e Barcellona) sulla scorta della complessa realtà turistica e sociale di una città che conta 73 visitatori per residente, affitti brevi più cari d’Italia e un fatturato di 80 milioni di euro per 8 mila strutture di cui poco, o addirittura nulla, finisce alla collettività. «Il modello di business dell’Airbnb, nato come sharing economy, cioè economia della condivisione, di frequente si rivela infatti una specie di iattura per le comunità locali poiché porta indirettamente con sé un aumento dei prezzi di affitto e di compravendita degli immobili, la frammentazione di uno specifico ambiente sociale e, spesso, la chiusura dei piccoli negozi di vicinato per fare posto ad attività esclusivamente rivolte ai turisti», esordisce il veneziano Emanuele Dal Carlo, direttore dell’agenzia di comunicazione Dna Italia, coordinatore del gruppo di ricerca Reset Venezia e co founder di FairBnb.
«La piattaforma su cui come cooperativa – nata con sette soci ai quali si sono aggiunti nuovi membri e sovventori, e con un investimento di 200 mila euro – stiamo lavorando, vuole invece rimettere al centro di tutto le comunità e il concetto di condivisione giusta e creare e diffondere una nuova cultura del viaggiare, fatta di responsabilità, di partecipazione, di sostenibilità. Per questo come primo atto, e con, in mano, i risultati di una ricerca condotta nel 2015 con Inside Airbnb sugli affitti turistici da cui è emersa l’esistenza di 30% di strutture in più, a Venezia, rispetto a quelle censite ufficialmente, abbiamo chiesto alla Regione Veneto di modificare quegli articoli di legge che parificano l’affitto turistico all’affitto residenziale – il 27 e il 27 bis della legge regionale 11 del 2013 e la legge 50 del Testo unico – così da cominciare a cambiare per davvero la natura di questo mercato selvaggio».
E’ una sfida tosta perché coinvolge molti aspetti, tra cui la speculazione immobiliare, l’elevata evasione fiscale correlata agli affitti, l’attuale modello di sviluppo economico, la disgregazione del tessuto sociale; perché chiama in causa molti soggetti a partire dalle istituzioni pubbliche fino alle categorie legate al turismo, ai locatori e ai residenti; perché tocca molti interessi e molte realtà locali visto che questo “modello” è ora in fase di sperimentazione in altre città italiane ed estere.
Ma come funziona FairBnb e come può cambiare “l’industria pesante del nostro tempo”, vale a dire il turismo? «Funziona come la rete Airbnb o qualsiasi altro portale di booking online solo che qui, a fare la differenza, è il progetto sociale cui è destinata la commissione pagata dal visitatore. Potremmo definirlo un booking on line che incontra il crowdfunding. Mi spiego meglio: se un turista, poniamo caso, di Lione, decide di trascorrere qualche giorno a Venezia, si iscrive alla nostra piattaforma e lì ha la possibilità di scoprire gli host che la pensano come noi e i progetti sociali a essi collegati, realizzabili proprio grazie a una percentuale sulle commissioni da lui corrisposte. In pratica, a ogni host Fairbnb solidale è collegato un progetto destinato alla collettività e, cosa importante, interamente deciso da essa: può essere la riqualificazione di un’area urbana degradata, la realizzazione di un parco in una zona priva di verde o di un altro spazio utile all’aggregazione. Ecco che a quel punto il turista consapevole può scegliere dove prenotare e sentirsi parte di qualcosa che nasce, non una semplice pedina di un business estrattivo e avulso dai bisogni di chi vive in quel luogo. Il bello di tutto è che, una volta rientrato a casa, il turista “fair” non smette di sentirsi partecipe al progetto perché noi lo teniamo costantemente informato. Come abbiamo messo nero su bianco nel nostro manifesto (https://fairbnb.coop/it/#manifesto), FairBnb è creata ed è governata dai cittadini e ogni cosa, dal reinvestimento dei profitti alle decisioni, è presa nell’interesse di tutta la comunità».
Dal Carlo tocca un aspetto interessante quando afferma che «non tutti potranno stare in FairBnB: sicuramente non l’inglese, faccio per dire, che affitta i propri appartamenti tutto l’anno ma che a Venezia non ci sta mai, o il veneziano con sei case sfitte. Chi entrerà dovrà possedere determinati requisiti, ad esempio dovrà avere la residenza nello stesso comune in cui la struttura è in offerta oppure avere una sola casa sul mercato turistico. Per chi invece propone un bed & breakfast, chiamiamolo vero, cioè con il proprietario che risiede nella casa in cui ospita, o per i piccoli hotel locali di proprietà di residenti, non ci sono paletti all’ingresso. Alla fine, essere nella piattaforma sarà come aver conquistato un bollino di sostenibilità, di responsabilità sociale ed etica che traccerà una linea di demarcazione netta con chi è rimasto fuori».
Monica Zornetta (Avvenire, 6 ottobre 2018)