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10/10/2012“Non ti permettere mai più di telefonarmi, di dire stupidaggini: sennò ti denuncio!”, gli ho detto, infuriato. Lui, a quel punto, ha replicato: “Ma sono tuo amico”; e io: “Da ora non lo sei più”.
Amos Spiazzi di Corte Regia, il “celebre” generale dell’Esercito coinvolto nelle più importanti inchieste politiche italiane degli ultimi quarant’anni, racconta di aver accolto così la telefonata del “supercollaboratore” di giustizia Giampaolo Stimamiglio il giorno della pubblicazione di una sua intervista su un quotidiano locale. Per la cronaca Giampaolo Stimamiglio è il sessantenne ex ordinovista di origine padovane, ed ex consulente farmaceutico, le cui rivelazioni sulla partecipazione dell’allora giovane veronese Marco Toffaloni nella strage di Piazza della Loggia hanno dato vita all’indagine stralcio affidata alla Procura dei minori di Brescia.
“Appena uscito l’articolo con la sua intervista, nel febbraio scorso – è il racconto di Spiazzi, settantanove primavere portate con piglio marziale – , Stimamiglio, che non sentivo da tre anni, mi ha telefonato chiedendomi: “Hai letto il giornale? Abbiamo fatto bella figura!”; al che gli ho risposto che non si doveva più permettere di chiamarmi e che, se l’avesse fatto, l’avrei denunciato. Non capisco quali siano le belle figure da fare a Brescia… “.
Il generale in pensione, che negli anni ha subito 19 processi sfociati in 19 assoluzioni, ha gli occhi stanchi, postumo visibile di una recente broncopolmonite. “Stimamiglio è divenuto collaboratore per convenienza: conosco il soggetto e posso dire che è un brutto personaggio e che racconta cose de relato. Quel giorno mi aveva telefonato per un motivo: temeva che, per vendicarmi, svelassi agli amici e ai conoscenti di Verona che razza di persona egli fosse”.
Eppure, a dispetto delle parole dure usate da Spiazzi, il suo ex amico Giampaolo Stimamiglio è il fiore spuntato all’occhiello degli inquirenti bresciani e degli investigatori romani, i quali stanno da tempo cercando di trovare riscontri alle sue dichiarazioni: solo così diventerebbe definitivo il programma di protezione cui è stato sottoposto.
“Quel Marco Toffaloni non lo conosco, ma la pista dei “ragazzini” addestrati per partecipare alla realizzazione della strage mi pare plausibile, sì”, dichiara il generale, precisando tuttavia che il 28 maggio 1974 era detenuto a Padova e che, dunque, più di tanto non può dire.
La storia giudiziaria di questo alto ufficiale nato a Trieste, sposato in seconde nozze con una elegante signora veronese, padre di tre figli avuti dalla prima moglie (deceduta nel 1983 mentre lui stava in carcere) e nonno di sei nipoti, è contenuta in numerosi faldoni disposti con cura dentro uno scaffale nel suo studio. Spiazzi, ricordano i faldoni, è stato condannato in primo grado e poi assolto per il golpe Borghese e per la strage alla Questura di Milano; indagato per l’organizzazione segreta Rosa dei Venti e per Ludwig; per i massacri di Piazza Fontana, di Bologna – dove, il 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria, ventitrè chili di esplosivo provocarono la morte di 85 persone e il ferimento di oltre 200 – e del treno Italicus, il 4 agosto 1974, con i suoi 12 morti e 48 feriti.
I magistrati, inoltre, lo hanno inquisito per Terza Posizione, i Nar, Gladio e il gruppo terrostico altoatesino Mia. “Su Ludwig e Piazza della Loggia sono stato sentito anche nel febbraio scorso, per otto ore, da due giudici bresciani (il procuratore Emma Avezzù e il sostituto Maria Grazia Omboni, nda) mentre l’ultima volta, verso la fine di giugno, due carabinieri del Ros mi hanno convocato alla caserma Salvo D’Aquisto per farmi un sacco di domande su quello che ritengo essere il mistero più grande della mia vita: mi hanno chiesto se ero parente di Monsignor Spiazzi, il direttore della Chiesa di Sant’Apollinare a Roma, quella dove era stato sepolto Enrico De Pedis; se ero mai andato a trovarlo e cose così”.
Monarchico, laureato tre volte, abbonato alla palestra di arti marziali dell’amico ed ex sottotenente ordinovista Elio Massagrande e membro della Os, l’Organizzazione di sicurezza dell’Esercito “che si proponeva – dichiara il generale – di proteggere le istituzioni contro il marxismo” (nella cui V Legione avrebbe operato anche Stimamiglio, nda), Spiazzi di Corte Regia ha scontato 6 anni di carcere preventivo e 18 di sospensione precauzionale dall’impiego. “Da oltre dieci sono in attesa del risarcimento dei danni morali e materiali – afferma, aggiungendo prontamente – ma torniamo a noi. Sono convinto che esista una continuità tra le stragi: non penso che ci fossero tante persone disponibili a farle. Quel che non è chiaro è il perchè, è il movente. Se si trova questo poi si trovano anche gli esecutori. Personalmente credo alla teoria degli opposti estremismi: a quel tempo lo Stato italiano voleva inscenare l’esistenza di pericoli per la democrazia così da sostenere la necessità di rinforzare le leggi, varando anche più rigide misure di polizia. Ad appoggiarlo c’erano i nostri colonizzatori, gli americani, i quali sicuramente ambivano ad instaurare un governo italiano di destra – non fascista ma liberal-capitalista – da contrapporre al comunismo. Così facendo la Prima Repubblica avrebbe scongiurato il rischio di una invasione bolscevica e contrastato il terrorismo rosso oltre a creare un alibi per bollare come stragista la destra radicale”.
Insieme alle stragi, uno degli episodi che, a detta del generale, rivelerebbero tale disegno è l’omicidio dell’esponente delle Squadre d’Azione Mussolini, Giancarlo Esposti, l’ex collaboratore del Sid su cui i magistrati che indagavano su Brescia avevano puntato da subito. “Esecuzione di Stato”, la chiama. “Per tutte le stragi commesse durante la “guerra fredda” ci sono stati tanti depistaggi dall’alto, da parte delle istituzioni: depistaggi che peraltro continuano ancora oggi. Credo che il processo per Piazza della Loggia rimanga in piedi solo per una questione politica”.
I principali esponenti della cellula veronese di Ordine Nuovo, Massagrande e il mantovano Roberto Besutti, sono nel frattempo deceduti ma Spiazzi, che li ha conosciuti quando i due erano ufficiali di complemento di artiglieria paracadutista, non esclude un loro possibile coinvolgimento. “Sì, avrebbero potuto contribuire in qualche modo perchè erano due ordinovisti davvero convinti”.
Insomma, generale, almeno su Brescia si arriverà mai a una verità? “Credo di sì, prima o poi. Il fatto è che la gente è un po’ vigliacca e non dice ciò che sa. Io ritengo che sia un dovere sacrosanto dire la verità… Guardi me: ho pagato, e tanto, per quello che ho detto”.
Monica Zornetta (Corriere della Sera, cronaca di Brescia, 3 agosto 2012)