#italiariparte. Le città “intelligenti” pensano comunitario
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09/11/2020C’è un elemento imprevedibile ma preciso che accomuna il nostro uso di antibiotici e il patrimonio culturale come le opere d’arte e i libri antichi: è un “consorzio” organizzato di microrganismi chiamato biofilm. E’ lui il responsabile di moltissime infezioni – anche ospedaliere – particolarmente resistenti agli antibiotici, ed è sempre lui il responsabile di quelle patine biologiche che si formano su statue, monumenti, dipinti, libri o su parti di edifici d’epoca, danneggiandone poco a poco la struttura.
Eradicare i biofilm per sconfiggere infezioni batteriche e per pulire e conservare opere d’arte di qualche secolo fa è l’obiettivo di Brenta, azienda del Vicentino nata come start up di Nine Trees Group S.p.A., dal 2016 specializzata in nanotecnologie (il nome stesso è l’acrostico di Bring Research Excellence in Nanotechnology and Theranostic Applications) e nello sviluppo di piattaforme tecnologiche per la ricerca farmaceutica e dei materiali, in collaborazione con alcuni importanti atenei italiani. «Le nanotecnologie si stanno rivelando una risorsa preziosa per affrontare sfide mediche decisive come sono, per esempio, le pandemie o le differenti epidemie che si diffondono nelle comunità», spiega il direttore generale di Brenta, Andrea Castellin, «ma anche per proteggere il patrimonio artistico e culturale dell’umanità: noi le stiamo applicando per eradicare la propagazione del biofilm in modo da rendere i farmaci più sicuri e performanti e, dall’altro lato, per rimuovere le patine biologiche e organiche dalle opere d’arte e dai libri antichi, così da riportarli alla loro antica bellezza».
Sono due i progetti che Brenta ha sviluppato con successo negli ultimi anni: il primo, chiamato BAnE (Biofilm Antibiotic Enhancers), è nato dall’innovativo studio di una giovane ricercatrice dell’Università Cà Foscari di Venezia, Benedetta Leonetti, che oggi segue la divisione Pharma, e si compone di una strategia combinata di sostanze antibiotiche e agenti che distruggono le sostanze extracellulari polimeriche per consentire alle terapie di ottenere risultati considerevoli anche con dosaggi minori; il secondo progetto, Nasier, si concentra invece su una gamma di prodotti in gel per il restauro inventata da Irene Scarpa, anch’essa ricercatrice alla Cà Foscari e dal 2019 responsabile della divisione Nasier in Brenta. «L’interazione con l’ateneo veneziano ci ha permesso di innescare un meccanismo di reciprocità molto virtuoso, sfociato in un accordo – il programma Ricap – che nel 2018 ha ottenuto importanti riconoscimenti da parte della University-Industry Interaction Conference di Helsinki», continua Castellin. «La nostra azienda è molto piccola (siamo in sei) e giovane ma è anche molto motivata e con competenze tecnologiche diverse: tutti, ad eccezione del sottoscritto, sono under 40 e più della metà è in possesso di un dottorato di ricerca».
«Amiamo le sfide, abbiamo tanta voglia di fare e mettiamo la tecnologia a disposizione delle aziende innovative», gli fa eco Benedetta Leonetti: «Il progetto di cui mi occupo, che consiste nel miglioramento delle performances degli antibiotici (attraverso una modificazione dell’interazione tra le molecole e l’infezione batterica, ndr), è molto attuale e ci permette di apportare grandi miglioramenti ad alcuni farmaci che risulterebbero non abbastanza prestazionali. Si tratta di farmaci che una volta supportati dalle matrici di Brenta diventano efficaci ed accessibili anche a coloro che, altrimenti, non avrebbero la possibilità di accedere a terapie moderne: pensiamo ai Paesi in via di sviluppo».
«Lavoriamo per rendere quanto più efficienti possibili i materiali e per ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente e sulla salute delle persone», conclude il direttore generale: «Ora siamo alla ricerca di partner con cui sviluppare ulteriormente il progetto farmaceutico in modo da dare risposte in tempi brevi a tutte le problematiche legate alla formazione del biofilm: penso alle infezioni nosocomiali (responsabili di setticemie) e domestiche o conseguenti a terapie oncologiche e a trapianti».
Monica Zornetta (Avvenire, 31 ottobre 2020)