Veneto, quali anticorpi contro la malavita?

Città espugnate dalle mafie (da inchiesta: Mafie in Veneto)
02/04/2012
Mafie d’importazione (da inchiesta: Mafie in Veneto)
02/04/2012

“Sono cento le aziende venete infiltrate dai Casalesi. E la colpa non è solo della crisi economica”. L’allarme, lanciato nel gennaio scorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dal procuratore generale di Venezia, Pietro Calogero, ha avuto, per molti, l’effetto  di una frustata in pieno viso. Sì, perché l’alto magistrato, mentre ha affermato che la responsabilità della situazione non va ricercata solo nella pesante congiuntura economica che sta affliggendo il Paese, ha messo sul piatto della bilancia altri fattori: “Alla straordinaria velocità di innesto (appena un anno) e alla profondità di infiltrazione – ha precisato Calogero – , hanno concorso fattori negativi esterni di natura sociale, economica e istituzionale”. Vale a dire che i responsabili  vanno cercati anche nel mondo finanziario, in quello bancario e del lavoro. Artefici di un così veloce sviluppo  di una nuova società veneta, del tutto lontana da quella “locomotiva d’Italia” che aveva fatto gridare al miracolo negli anni Novanta sono, in pratica, i ripetuti stati di insolvenza di quei piccoli imprenditori che hanno continuato ad operare nonostante tutto e tutti: senza pagare cioè i creditori, i dipendenti, l’Erario e inquinando anzi il mercato attraverso l’emissione di fatture certificanti operazioni mai avvenute allo scopo di riuscire a recuperare la necessaria liquidità. Loro “complici” sono le eccessive restrizioni sulle erogazioni di finanziamenti da parte degli istituti di credito e le aggressive procedure di rientro dei prestiti bancari; le sistematiche violazioni dei controlli e degli obblighi di denuncia in ambito bancario e in quello dei tecnici addetti alle procedure contabili.

Con questo allarme, in realtà, l’ex capo della Procura di Padova non aveva espresso nulla di straordinario. Già a dicembre il superprocuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, invitato nel capoluogo euganeo da un’associazione locale per parlare di criminalità organizzata, aveva riconosciuto l’elevato rischio di infiltrazioni esistente in Veneto, corredando tuttavia il giusto monito con una constatazione alquanto ottimistica: “Il nordest ha sempre mostrato veri e propri anticorpi alla malavita”.

Poniamo pure che in passato sia stato così, ma oggi è ancora valida questa affermazione? A Padova Grasso, illustrando le dimensioni del riciclaggio in Italia – attestato, in base ai dati della Direzione nazionale antimafia, sul 10 per cento del Pil, pari a circa 150 miliardi di euro – si è soffermato sul ruolo della crisi economica, sulla mancanza di liquidità e sulle grandi difficoltà nei prestiti da parte delle banche: tutte accezioni che portano a far spuntare come funghi velenosi i cosiddetti colletti bianchi “della mafia, pronti a prestare denaro e ad entrare nelle aziende con capitali freschi. Ed ecco il riciclaggio. Il Veneto è sotto il tiro della camorra più che della mafia siciliana o ‘ndrangheta calabrese”.  “Ai colletti bianchi”, precisa meglio Grasso nel libro “Soldi sporchi”, scritto con Enrico Bellavia e pubblicato da Dalai editore, “si rivolgono appartenenti al crimine organizzato interessati a celare la provenienza, e quindi a investire in impieghi redditizi, di capitali frutto di grandi traffici illeciti, ma anche uomini appartenenti al normale circuito economico e finanziario interessati a creare, sia all’estero che in Italia, fondi neri extra-bilancio, frutto di evasione fiscale e di corruzione o di attività economiche coperte”.

Anche Roberto Terzo, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia del Veneto, per lungo tempo in trincea nella procura di Agrigento e autore delle indagini sulle infiltrazioni dei Casalesi in Veneto – una delle tranche è stata chiusa a gennaio -, ha di recente puntato il dito contro le banche: “Negano la liquidità e così i piccoli imprenditori finiscono nelle mani degli usurai”. Quando i rubinetti si chiudono, ecco arrivare in “soccorso” la criminalità organizzata, che all’imprenditore “offre forme di riorganizzazione societarie per evadere le tasse o realizzare una bancarotta fraudolenta. Fossimo negli Stati Uniti – ha detto – avremmo dovuto condannare prima le vittime per truffa ai danni dello Stato”.

Il Veneto avrà anche gli anticorpi che lo proteggono dal dilagare della malavita, ma, a leggere i dati della Direzione investigativa antimafia del Veneto, sembra non averli proprio quando si parla di corruzione e concussione. Al di là delle parole e delle rassicurazioni, sono le cifre a parlare: dagli ultimi sei mesi del 2010 ai primi sei mesi del 2011 il numero dei denunciati per corruzione è passato da 3 a 69. Anche il reato di concussione ha registrato un impressionante incremento: in questo caso, da giugno a dicembre 2010 e fino a gennaio-giugno 2011 il numero delle persone denunciate è volato da 4 a 23. Con numeri del genere il Veneto si è piazzato di diritto ai primi posti della “classifica nera” dietro a Campania (la capolista con 117 casi), Sicilia (111), Lombardia (88), Puglia (28). Per corruzione, di recente, è stato arrestato un personaggio molto in vista nella regione, il venetissimo (di Campolongo Maggiore) ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan, chiamato  il “re”delle autostrade. Brentan è accusato di aver assegnato direttamente ad un “cartello” di imprenditori locali alcuni lavori pubblici nel settore dell’edilizia, frazionandoli in più lotti (per abbassare l’ammontare del costo dei lavori) e bypassando le gare d’appalto. In cambio di tali “favori”, avvenuti tra il 2005 e il 2009, Brentan avrebbe ricevuto tangenti per un importo di oltre 170mila euro. «Vista la sua rilevanza, Brentan potrebbe rappresentare una cassaforte che speriamo di essere in grado di aprire al più presto», è stato il commento a caldo del procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Mastelloni mentre Luigi Delpino, il procuratore capo, ha espresso l’augurio che «si verifichi il classico effetto a catena. Con l’accusato che trascina nel baratro chi è causa del suo male». Vedremo.

Il Veneto, a leggere le cifre messe nero su bianco dagli investigatori della Dia, non sembra avere gli anticorpi sufficienti nemmeno per proteggersi dal riciclaggio. Se, nello stesso periodo considerato per la corruzione e la concussione, il numero degli episodi estorsivi ha registrato un lievissimo mutamento (nel secondo trimestre 2010 erano 111, nel primo trimestre 2011 sono scesi a 92) e, contemporaneamente, si sono ridotti i casi di estorsione (da 8 a 3), lo stesso non si può dire del riciclaggio, che nel primo semestre 2011 ha subito una netta impennata. Secondo i dati della Banca d’Italia, che sta collaborando con la Procura antimafia avviando nuove procedure di analisi dei flussi finanziari a rischio, sui 15.725 casi riscontrati nel nostro Paese, ben 861 sono avvenuti in Veneto. Inoltre, è quanto segnala la Dia, il 2011 è stato un anno davvero “vincente” per il riciclaggio in questa regione: il business dello spaccio di droga – fondato su un patto d’acciaio tra Cosa nostra, la ‘ndrangheta, la camorra e la manovalanza rappresentata dagli spacciatori albanesi, colombiani, marocchini – è stata sostituita ormai dal riciclaggio nel settore dell’edilizia e della consulenza finanziaria alle imprese in crisi.  “La cosa che appare più interessante – ha spiegato il docente universitario e saggista, Gabriele Licciardi – è che le mafie in Veneto hanno lasciato da parte qualsiasi volontà di controllo del territorio, rivolgendo la loro attenzione al consolidamento di attività finanziarie e commerciali che non prevedono un controllo col mitra dei territori, ma il potenziamento di una vasta zona grigia – ancora loro, i “colletti bianchi” –  pronti a mettere a disposizione delle consorterie criminali le loro professionalità, in alcuni casi ben più incisive di una pistola”.

Monica Zornetta (Narcomafie, 2012)