Il cibo vegetariano cresce- Anche tra chi mangia carne
15/11/2024
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«Noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità», esortava a fare nel 1961 Enrico Mattei in un discorso diventato celebre. Dobbiamo, diceva, avere fiducia in noi stessi, nelle nostre possibilità, nel nostro domani. Sono parole ben metabolizzate da coloro che oggi fanno ricerca e innovazione in Italia: non ci sono complessi di inferiorità ma solo la consapevolezza di avere il talento e le competenze giuste per creare valore e contribuire, così, a migliorare il mondo. Le difficoltà, è ovvio, sono tante, come ha segnalato anche di recente il TEHA – Global Innosystem Index (TEHA-GII) della European House – Ambrosetti, ma dalla nostra abbiamo eccellenze riconosciute in tutto il mondo nel settore della ricerca scientifica e occupiamo una buona posizione nella classifica dei brevetti depositati all’Ufficio europeo brevetti: un dato che mette in evidenza come nell’ecosistema italiano continuino a progredire idee e tecnologie.

Una di queste è il sistema di Direct Air Capture (DAC), ovvero di rimozione di CO2 dall’atmosfera, sviluppato dalla giovane start up torinese CarpeCarbon per raggiungere e andare oltre l’obiettivo delle emissioni nette zero e rispettare i traguardi climatici fissati dall’Accordo di Parigi. Si tratta di una tecnologia che, attraverso il filtraggio dell’aria attuato da un apposito impianto brevettato, trattiene le molecole di anidride carbonica prodotte nell’arco dei secoli dalla combustione di materiale organico e le immagazzina in modo duraturo per oltre 10 mila anni. Parliamo, in potenziale, di decine di migliaia di tonnellate l’anno di CO2 che vengono rimosse in modo “sostenibile” – senza richiedere, cioè, grandi consumi di energia elettrica a differenza di quel che accade con molte delle attuali tecnologie DAC – e “intrappolate” permanentemente nel sottosuolo, trasformandosi in un minerale stabile e sicuro, privo di rischi di dispersione nell’atmosfera.

«Il sistema non utilizza filtri sopra le ciminiere», spiega Giuliano Antoniciello, astrofisico, co-founder e CEO di CarpeCarbon, «ma rimuove la CO2 filtrandola direttamente dall’aria, in qualsiasi luogo. Catturiamo qualcosa che stava già contribuendo al cambiamento climatico e la rimuoviamo. Ai nostri clienti rilasciamo carbon credits di alta qualità.

«Il nostro impianto-pilota è in fase di progettazione grazie a un primo round di finanziamento di oltre 1 milione  e 750 mila euro: è un sistema DAC avanzato che utilizza energia pulita ed è in grado di raggiungere anche quei settori industriali che consumano tanta energia e sono difficili da decarbonizzare poiché le emissioni sono distribuite lungo tutta la catena. Pensiamo, ad esempio, alle industrie che producono carta, a quelle che lavorano l’acciaio o, persino, all’aviazione civile».

La tecnologia di CarpeCarbon si va ad affiancare a quella di altre aziende italiane impegnate nella cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica come la Limenet, con il suo impianto in costruzione a La Spezia, o l’Eni-Snam con il progetto Ravenna CSS. «E’ estremamente importante che i governi e le istituzioni partecipino alla nascita di questo nuovo settore industriale», conclude Antoniciello, «perché porterà nuovi posti di lavoro e rappresenta un’occasione di sviluppo sociale ed economico senza pari. Proprio come oggi i rifiuti urbani vengono gestiti dalle amministrazioni pubbliche, così deve accadere con la cattura e la rimozione della CO2 dall’aria: sarà il servizio di smaltimento dei rifiuti del nuovo secolo. L’esempio della Danimarca, che ha acquistato tonnellate di CO2 rimossa, è illuminante. L’Italia si deve muovere adesso perché siamo il posto giusto per fare da pionieri, perché ci sono interessi, capitali e talenti. Muoversi tra due anni sarà già troppo tardi».

Monica Zornetta (L’Economia Civile – Avvenire, 29 gennaio 2025)

Il link:

Il pdf: pdf-pagina-CARPE-CARBON-su-EC.pdf