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C’era una volta uno stivale fatto di terra e di roccia, di boschi, di montagne e di vulcani; uno stivale adagiato su di un vasto mare, salato e correntoso, lambito da un migliaio di laghi e impreziosito da un tale numero di patrimoni dell’Umanità da non avere eguali nel mondo. C’era una volta, insomma, l’Italia, e c’erano luoghi come Venezia, Padova, Roma, Napoli, le Alpi e gli Appennini, la Toscana, il Salento, la Sicilia: un Paese splendido e fragile, ricco e diseguale, che l’incessante opera di distruzione perpetrata per secoli dall’Homo sedicente sapiens ha trasformato in una vasta e inospitale penisola bruciata dal sole, divorata dai flutti acidi e inghiottita dalle paludi. Un’Italia del futuro, o meglio, di un futuro estremo, dove, se non invertiamo al più presto la fusione dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari, alle pianure si sostituiranno i fiordi e alle colline subentrerà tenace il deserto; dove le città sopravviveranno solo grazie ad articolati sistemi di palafitte sintetiche e gli abitanti dei paesi e dei borghi un tempo floridi troveranno riparo dalla canicola dentro a grotte, gallerie, cisterne, adattandosi così a vivere sottoterra e di notte. Un worst-case scenario che porta una data ideale, il 2786, e identifica un’era geologica che per forza di cose “noi umani” conosciamo bene: l’Antropocene.

In “Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro”, il gustoso (e per certi versi inquietante) libro a metà tra fiction e scienza edito da Aboca, il filosofo evoluzionista Telmo Pievani e il geografo Mauro Varotto, docenti all’Università di Padova, partono dal celebre viaggio italiano di Goethe del 1786 per immaginare un altro istruttivo Grand Tour nel Bel Paese, o in ciò che di bello è rimasto: questa volta l’anno è, per l’appunto, il 2786 e a compiere l’escursione, servendosi di battelli con fondi trasparenti – per ammirare i monumenti subacquei – e di pullman ad idrogeno, di aerei, di aliscafi a fusione nucleare e di treni superveloci a levitazione magnetica, è il giovane Milordo, un mitteleuropeo di buona famiglia e ottimi studi capace di vedere nel nuovo minaccioso assetto del territorio ciò che altri non vedono. O non vogliono vedere.

Arricchito da suggestive mappe fantageografiche a colori create da Francesco Ferrarese, l’originale volume fa cominciare il distopico tour di Milordo e della variegata comitiva che lo accompagna dal porto di Udine e, quindi, dalla vicina Venezia: la città d’arte, di guerra e di commerci marittimi conosciuta fin dall’antichità come la capitale della Serenissima Repubblica, è tristemente finita sommersa dalle acque ben prima del 2786, ad eccezione del suo campanile (ma come la gran parte dei centri abitati del Nordest: da Pordenone a Treviso, da Padova a Vicenza) e nonostante il grande e controverso sistema delle dighe mobili. Il giovane turista visita poi Verona, scampata al disfacimento e alla perdita di tutti i suoi tesori grazie ad alte palafitte, quindi la Lombardia e l’Emilia-Romagna, vagheggiando tra le inabissate Mantova, Cremona, Ferrara, Ravenna; si dirige nella Toscana orfana di Pisa e Livorno, approda in un Lazio dove il lago di Bolsena è tornato ad essere il cratere di un vulcano, Latina e l’Agro Pontino sono riscomparse e la Roma Caput Mundi è sommersa dal Mare del Lazio. Anche l’intera Città del Vaticano è custodita nei fondali e per questa ragione il Papa risiede stabilmente a Castel Gandolfo dove, scrivono Pievani e Varotto, Milordo nota “in un angolo, la statua di un certo papa Francesco, il primo papa, poi dimenticato, a scrivere otto secoli prima un’enciclica sulla necessità di salvare il clima e il pianeta per le generazioni future”. Nella regione adriatica, dove un tempo si spalancavano le Marche, l’Abruzzo e il Molise, Milordo e i suoi compagni di avventura si trovano davanti a fiordi in pieno stile norvegese ma anche a spiagge protette con reti anti-coccodrillo mentre, scendendo sempre più a Sud, tra la Puglia, la Calabria e la Sicilia scopre territori assolati simili a paradisi tropicali con tanto di foreste, mangrovie, meduse e barracuda, montagne brulle più volte cancellate da incendi e deserti rocciosi molto somiglianti a quelli che sorgono dall’altra parte del Mediterraneo.

Milordo osserva gli effetti delle azioni dell’homo destruens e riflette: “Restiamo pur sempre un mammifero ingordo, condannato al tribalismo e all’incapacità di guardare al futuro della specie umana nella sua totalità […]  In mille anni abbiamo distrutto il 75% di tutte le forme di vita a causa di deforestazione, perdita di specie, frammentazione degli habitat, mancanza di ossigeno nelle acque costiere, concentrazione di plastiche che già nel 2080, per volume, aveva superato drammaticamente quella dei pesci”. Quindi, “la specie umana può essere considerata oggi, a tutti gli effetti, come la più grande forza evolutiva globale che incide (in negativo) sulla biodiversità”. E ha perfettamente ragione, come puntualizzano gli autori: “Qualora davvero nel 2786 il paesaggio italiano fosse quello raccontato da Milordo, il suo fallimento sarebbe anche quello del nostro attuale sistema alimentare […] la nostra selezione di pochi vegetali e animali sfruttati intensivamente si è rivelata idonea a sfamare un mondo sempre più popolato di individui ma non a salvaguardare gli equilibri planetari”. Pur ammettendo che “uno scenario come quello attraversato dal viaggiatore Milordo è da ritenersi scientificamente irreale e imprevedibile perché basato su una ipotesi di contesto invariato su diverse scale”, Pievani e Varotto ripetono che siamo ancora in tempo per ridurre i rischi climatici, ma dobbiamo necessariamente agire in fretta, e insieme. “Non esistono problemi climatici separati dai problemi sociali: la crisi del clima e del pianeta è lo specchio di una crisi dell’umanità. Da sempre la vita co-evolve con il clima”, affermano nell’ultimo capitolo del libro: “Grandi civiltà sono nate e si sono estinte a causa dei cambiamenti del clima […] Ma è vero anche il contrario: l’uomo è in grado di influenzarlo, già da alcuni millenni, e negli ultimi due secoli in maniera sempre più decisiva. Le scelte che facciamo oggi ci diranno quindi a quale clima, ma soprattutto a quale civiltà, dare un futuro”.

Monica Zornetta (L’economia civile – Avvenire, 30 giugno 2021)

https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/che-italia-troverebbe-goethe-mille-anni-dopo-il-suo-famoso-viaggio

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