Edilizia green. La sostenibile leggerezza del bambù
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11/03/2021La leggenda narra che una mattina d’autunno Alessandro il Grande, affacciatosi dalla sua tenda allestita su una pianura del Khorasan, nell’Iran occidentale, abbia scorto il suo enorme esercito circondato da distese di fiori a campanula color violetto, sbocciati con le prime luci del giorno. Mentre gli increduli soldati, terrorizzati da quell’inattesa vastità floreale e convinti che fosse il frutto di un maleficio, si rifiutarono di proseguire il cammino, il sovrano macedone uscì dalla tenda per inginocchiarsi davanti alla distesa e riempirsi gli occhi di tanta sconosciuta bellezza. Svariati secoli dopo il leggendario risveglio di Alessandro, l’Iran si conferma il maggior produttore ed esportatore al mondo di zafferano, la pregiata spezia ricavata dagli stigmi del soffice Crocus: nonostante la flessione provocata dalla pandemia, dai cambiamenti climatici e dalle sanzioni degli Stati Uniti, si calcola che circa il 95% del prodotto consumato ogni anno nel mondo proviene dall’Iran, di cui la maggior parte dall’antica regione del Khorasan – dove il governo ha di recente istituito una specifica Banca per agevolare l’incontro tra imprenditori e investitori – e, in particolare, da Qa’en, la “capitale dello zafferano”, com’è conosciuta in tutta l’Asia.
Lo zafferano persiano è molto profumato, è coltivato artigianalmente da piccoli produttori agricoli ed è molto costoso: per ottenerne un solo chilo è necessario raccogliere a mano, prima dell’alba, circa 200 mila fiori “dormienti” e separare poi pazientemente gli stigmi dalle altre parti. E’ per questa ragione che un grammo della migliore qualità arriva a costare anche 65 dollari: persino più dell’oro.
Quello dello zafferano è un business mondiale a nove zeri che in Iran dà lavoro a un milione di persone, per la maggior parte donne, ma che, a dispetto delle più che soddisfacenti previsioni di crescita per i prossimi cinque anni, continua a registrare ricadute molto limitate sulla ricchezza del Paese. Più di uno sono i motivi, tra cui l’enorme problema della contraffazione del prodotto, il deprezzamento della valuta locale, le continue prove di forza che i piccoli produttori sono costretti ad ingaggiare con il mercato per ottenere (il più delle volte senza riuscirci) il giusto profitto, l’abitudine persiana di esportare lo zafferano sfuso, senza alcun packaging, “concedendo” in questo modo agli intermediari esteri la possibilità di confezionarlo e venderlo con i propri marchi e di incassarne, per di più, il valore aggiunto.
Ala Azadkia è una giovane imprenditrice e attivista di Teheran che da sette anni vive in Italia («per inseguire i miei sogni e la mia libertà») ma che guarda ogni giorno alle millenarie meraviglie, e alle fragilità, della sua terra. Con Davide, il marito, laureato in Scienze ambientali, ha fondato Shirin Persia, una e-commerce etica, sostenibile e solidale che partendo dagli stigmi dello zafferano persiano, punta a diffondere la conoscenza della cultura e delle tradizioni del suo Paese, a promuovere un turismo responsabile, a creare una filiera corta e virtuosa per connettere direttamente piccoli produttori e clienti. «Giuridicamente siamo un’impresa ma ci sentiamo più una cooperativa», afferma.
Trentaquattro anni, due lauree – la prima, in Ingegneria meccanica, conseguita all’Università di Teheran, la seconda, in Ingegneria gestionale, a Parma – una grande passione per l’arrampicata che l’ha portata fino alle montagne di Trento, dove vive e scala con Davide, Ala racconta come sono nati Shirin Persia e il secondo grande progetto che ha nel cuore, realizzato, questa volta, insieme a Slow Food. «Shirin Persia (Dolce Persia, ndr), è nato da un mio sogno ai tempi in cui studiavo a Parma e pensavo di ritirarmi poiché tutto andava a concentrarsi sulle dottrine capitalistiche: è stato allora che un mio professore mi parlò del Fair Trade, una forma di commercio sostenibile che in Iran ancora non c’era, e capii che potevo realizzarlo anch’io con il tesoro più prezioso che la mia terra da sempre produce. Sapevo che i lavoratori dello zafferano erano soggetti ad abusi e che le sanzioni internazionali rendevano molto complicata, e per niente equa, l’esportazione di questa spezia; quando stavo lavorando alla tesi, inoltre, scoprii che dietro al suo commercio si nascondevano traffici criminali, per esempio di armi e di droga», continua la giovane ingegnera. «Attraverso il nostro sito https://www.shirinpersia.com/ vendiamo articoli realizzati con lo zafferano: dai pistilli purissimi raccolti e selezionati dagli agricoltori di Qa’en fino alla birra, alle candele e a pezzi di artigianato locale come monili e sciarpe in cotone tinte con i petali dell’oro rosso dalle donne della cooperativa di Khorashad. Shirin Persia è un’azienda equo-solidale che cerca di creare lavoro e di pagare ai produttori quanto richiesto».
Ma è anche molto di più: è inclusione e rispetto dei territori. «Nell’ottobre 2019, insieme con la cooperativa di viaggi responsabili di Altromercato, Viaggi e Miraggi, abbiamo accompagnato un gruppo di viaggiatori italiani in diverse città e villaggi dell’Iran e, una volta a Qa’en, lo abbiamo portato non soltanto dentro le ospitali case delle famiglie locali ma anche a lavorare sui campi di zafferano insieme ai contadini. Uno dei nostri obiettivi è riuscire ad interrompere il pesante inurbamento delle campagne da parte dei giovani, per i quali il lavoro agricolo equivale unicamente a povertà e sfruttamento».
Figlia di due intellettuali – la madre, Farzaneh Okhovat, è un’insegnante di letteratura che dal 2000 ha fondato oltre sessanta biblioteche in molti paesini iraniani; il padre, Hosein, ingegnere delle Comunicazioni in pensione, aiuta la madre nella gestione di una libreria in cui si insegna a leggere e a scrivere gratuitamente in lingua Farsi agli immigrati afgani -, per Ala Azadkia c’è una parola italiana che, più delle altre, le ha aperto un mondo: questa parola è “comunità”.
«Grazie alla condotta Slow Food Valle dell’Adige Alto Garda l’anno scorso è nata la prima Comunità transazionale dei produttori e co-produttori dello zafferano di Qa’en, che coinvolge produttori iraniani, ristoratori, trasformatori e consumatori in Italia, le donne della cooperativa Gojino di Shahdad, e quelle di Khorashad, che coraggiosamente tramandano l’antica arte tessile manuale Tobafi (oggi patrimonio Unesco), e poi giovani fotografi e videomakers», spiega.
«La parola comunità dà una grandissima forza e un enorme valore al nostro progetto perché vuol dire che non si ferma a me o a Davide ma coinvolge molte anime: è un impegno continuo che cammina con le gambe e le sensibilità di tutti. A noi non interessa che dal sito le persone comprino le cose così, giusto per comprare, ma che facciano i propri acquisiti sapendo che, grazie a loro, le comunità locali possono rinnovare l’orgoglio per questo lavoro e che, inoltre, possono nascere scuole dove i giovani apprendono l’inglese e il marketing, materie utili per poi realizzare il proprio business».
Monica Zornetta (L’economia civile – Avvenire, 3 marzo 2021)
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/lo-zafferano-liberato-dal-fair-trade