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Quando, nell’inverno scorso, un comitato di azionisti risparmiatori travolti dalla gigantesca valanga provocata dal default di Veneto Banca e Popolare di Vicenza chiese a don Enrico Torta di diventare il loro punto di riferimento morale, l’anziano parroco del paesino di Dese, alle porte di Mestre, accettò senza dubbi perché “qui non si parla di vile denaro ma di vita”. Quel piccolo comitato è poi diventato un coordinamento di associazioni territoriali che, affiancate da alcuni avvocati veneti, da mesi sta chiedendo giustizia attraverso assemblee pubbliche – sovente organizzate nella sala parrocchiale di Dese -, manifestazioni nei feudi del potere bancario veneto, sportelli di assistenza ed esposti alla Procura della Repubblica contro i vertici di Veneto Banca, accusati di essere i registi della manovra che ha portato allo svilimento delle azioni dei soci. “Al momento però non possiamo dire altro perché in Veneto ci sono quasi 210 mila persone che soffrono”, afferma don Torta, che sulla tragedia dei piccoli risparmiatori veneti raggirati dagli istituti di credito cooperativi ha più volte incentrato, nei mesi scorsi, i propri sermoni. “Soprattutto anziani, che con fiducia avevano messo in banca i risparmi di una vita di lavoro e di tanti sacrifici e che, di fatto, riceveranno niente più che una manciata di euro. Chi imbroglia i poveri appartiene alla stirpe di Caino, non certo a quella di Abele o di Cristo”.

Settantotto anni, veneziano di San Giacomo dell’Orio, nel sestiere di Santa Croce, don Enrico Torta ha cominciato tempo fa a prestare la voce a chi non ce l’ha denunciando l’usura bancaria e la tabula rasa delle relazioni famigliari e sociali causata dalle sistematiche aperture festive dei centri commerciali. “Poi, dopo che alcune persone erano venute in parrocchia per parlarmi, piangendo, della truffa subita dai loro istituti, ho sentito il dovere di coscienza, come prete e come uomo, di capirne di più. Per questo pretendiamo la verità dai dirigenti e chiediamo l’impegno concreto di tutte le istituzioni, anche attraverso la costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta che faccia luce, tra le altre cose, sulle cause del tracollo, sulla fine che hanno fatto i soldi e sulle eventuali responsabilità della Banca d’Italia, di Consob, del collegio sindacale, dei servizi di vigilanza interni. Temiamo che sotto ci siano connivenze tra vari poteri: economico, politico e giudiziario”.

Dalla piccola parrocchia dove da undici anni presta servizio offrendo ascolto e, com’è accaduto, aiutando anche economicamente le famiglie più umili e bisognose, il vecchio sacerdote non esita a criticare il comportamento del governo: “Ha salvato le banche ma non ha mosso un dito davanti alle sofferenze delle loro vittime. Lo Stato oggi fa come Ponzio Pilato: se ne lava le mani, tanto alla fine sono sempre gli innocenti a pagare; pensiamo a quante persone si sono tolte la vita a causa della disperazione, della vergogna. Non ho paura di definire tutto questo un grande omicidio legalizzato dallo Stato”. A sostenerlo nella difficile battaglia ci sono alcuni dei vescovi del Triveneto, compreso il Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ma pochissimi ancora i sacerdoti. “Resto sorpreso dal fatto che, davanti a un Papa che più volte ha stigmatizzato il potere del denaro come idolo, la Chiesa per mezzo di molti dei suoi pastori non abbia colto la gravità di quel che è successo né il crollo morale ed etico che si sta registrando nella società italiana, non solo in quella veneta. Mettere il denaro al centro della realizzazione personale va contro i principi fondamentali di un’impostazione cristiana e umana della vita. Invito perciò i parroci, che sono i padri delle comunità, a porre accanto al dovere della preghiera quello della conoscenza nonchè la forza della denuncia, ed esorto umilmente i vescovi a cominciare a parlare chiaro perché qui non si tratta di denaro ma della vita delle persone. A tutti, infine, dico: abbiate il coraggio di uscire allo scoperto perché se restiamo in pochi abbiamo già perso ma se diventiamo tanti ci trasformiamo in una forza che la politica non potrà più ignorare”.

Monica Zornetta (Avvenire, 9 agosto 2016)