L’acqua usata come una fiamma per bruciare inquinanti industriali
28/07/2021Storia d’impresa. La seconda vita del legno del Vaia
28/08/2021Non tutte le bolle sono uguali. Ci sono quelle buone, prodotte con il sapone, quelle decisamente meno buone, della speculazione finanziaria, e quelle cattive – anzi: cattivissime – capaci di generare, quando implodono su se stesse, temperature e pressioni simili a quelle che si registrano vicino alla superficie del sole. Parliamo delle “bolle di cavitazione”, di quei fenomeni, cioè, che fanno disperare idraulici e capitani di nave con la loro capacità di produrre, nell’implosione, un getto supersonico di liquido talmente potente da intaccare persino la superficie dei metalli più duri usati per costruire pompe, tubi ed eliche marine. Come questo si verifichi è cosa nota, così come lo sono le pressioni e le temperature che si generano (5000 gradi e 500 atmosfere) quando la bolla implode su se stessa in un punto “caldo” chiamato, non a caso, hot spot, il quale, a sua volta, dà vita su scala microscopica ad un vero e proprio lampo di luce. E allora, è possibile “usare” queste cattivissime bolle per altri scopi?
Si può imbrigliare il vigore di tanti soli che implodono in un semplice bicchiere d’acqua? O rendere continuo e costante un fenomeno che dura appena un millesimo di nanosecondo e, per giunta, in una sorta di vortice caotico e casuale di eventi? E tutto ciò, può essere realizzato per aiutare l’ambiente e, con esso, la nostra salute?
Una risposta a queste domande potrebbe arrivare dai ricercatori del Green Propulsion Laboratory del gruppo Veritas di Venezia, impegnati da tempo insieme con il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, in alcuni esperimenti di frontiera – condotti insieme con le Università di Padova e Venezia (Cà Foscari) – per risolvere le sempre più gravi problematiche che interessano l’atmosfera. In particolare, il team di ricercatori e PhD, coordinati da Graziano Tassinato sta sperimentando una particolare tecnologia avanzata, per l’occasione battezzata NESS (NEar Solar Surface Reaction), che grazie alla generazione all’interno di queste bolle cavitazionali di temperature e pressioni molto simili a quelle della fotosfera solare, potrebbe disintegrare sostanze chimiche inquinanti che persistono per decenni nell’ambiente e produrre, in una virtuosa ottica di circolarità duale, uno degli elementi ad oggi più preziosi: l’idrogeno.
L’esperimento, chiamato NESSie in onore del leggendario mostro che abita – forse – nelle scure acque del lago Loch Ness, avviene grazie a un consumo energetico molto ridotto all’interno di un reattore progettato ad hoc: in pratica, però, è come se avvenisse in un semplice bicchiere d’acqua. «Noi usiamo dire che in un bicchiere d’acqua simuliamo tanti piccoli soli che implodono», spiega Tassinato. «Tutto, come spesso accade, è cominciato quasi per gioco partendo da ciò che conosciamo sugli effetti negativi della cavitazione e cercando un modo per utilizzarli nella lotta agli inquinanti emergenti».
Dalla Teoria dei Giochi passando per modelli matematici tipo Monte Carlo (tutti strumenti utili nel semplificare importanti passaggi della fisica sperimentale e molto utilizzati da Fermi e dal gruppo del Progetto Manhattan), il team ha inventato e realizzato un “supercavitatore” in grado di riprodurre una “nuvola” di cattivissime bolle di cavitazione entro cui far passare i contaminanti più nocivi, «quelli presenti in traccia e messi al bando dalla Convenzione di Stoccolma per via della loro recalcitranza alla biodegradazione». Parliamo dei PFOA/PFAS, glifosati, diossine e di altre sostanze rischiose per la salute umana e degli animali le quali, una volta propagatisi nell’aria, nell’acqua, nella terra, vi risiedono a lungo, anche per generazioni poiché non sono degradabili dai microrganismi dell’ambiente. Ma non è finita qui. «Abbiamo notato che durante le implosioni viene generato idrogeno: è un “dettaglio” che ci apre una strada ulteriore che va, ovviamente, anch’essa verificata», continua il direttore del Green Propulsion Laboratory, che anticipa inoltre: «Dalla ricerca mondiale stanno arrivando segnali di tecnologie a prima vista bizzarre e paradossali ma che potrebbero aprire un nuovo capitolo della chimica dove all’aggettivo “pesante” si sostituisce quello di “pensante”, a tutto vantaggio della nostra salute e dell’unico pianeta di cui attualmente disponiamo».
Che il futuro della biosfera si possa scrivere con il linguaggio (anche) della ricerca è convinto Andrea Razzini, il direttore generale di Veritas, la multiutility pubblica a cui fa capo il GPLab: «Nel nostro laboratorio valutiamo l’effetto complessivo delle applicazioni nel momento in cui si trovano ad affrontare inquinanti particolarmente nocivi, come i residui industriali con alte concentrazioni di diossina, dragate, per esempio, dal porto, o le acque reflue prodotte dal disinquinamento», aggiunge. «Grazie a finanziamenti del comune di Venezia, della Città metropolitana e della Regione Veneto, lavoriamo per trovare soluzioni più green rispetto alla combustione degli inquinanti ad altissime temperature, penso ai 1200 gradi, o al ricovero dei fanghi in discarica, come, invece, accade ancora oggi».
Monica Zornetta (Avvenire, 3 agosto 2021)