La genialità nell’inchiostro. Gli spettri di Poe visti da Martini

I ponti di padre Dall’Oglio. La sua bella gioventù tra fede, impegno e politica
06/02/2025
I ponti di padre Dall’Oglio. La sua bella gioventù tra fede, impegno e politica
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«La grande finestra del mio studio è aperta nella notte. […] In quel rettangolo nero passano i miei fantasmi. […] In quel rettangolo nero mi vidi come in uno specchio. […] Pallido, impassibile. È la mia anima, pensai, che ora specchia il mio volto nell’infinito». Tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, un poco più che sessantenne Alberto Martini scriveva così nella sua autobiografia Vita d’artista, immaginando di trovarsi a tu per tu, nella notte milanese, con i fantasmi e le creature soprannaturali che abitavano il suo inconscio.

Ci parlava, Martini, con i suoi spettri pallidi, li ascoltava: nell’oscurità che inondava l’atelier di via Vigoni o in quello parigino, nell’ora del sonno e del sogno, mentre gli spiriti gli sussurravano all’orecchio segreti e misteri, lui ne immortalava sguardi (non sempre benigni) e ombre, come aveva fatto, ad esempio, nel dipinto ad olio del 1928, Conversazione con i fantasmi.

“Conversazione con i fantasmi”

Ma l’esistenza di una dimensione “altra”, di entità parallele, come pure di influenze – più o meno nefaste – di demoni o doppelganger, non erano per lui una novità di quegli anni Venti ormai al tramonto. Il suo doppio, infatti, lo aveva già ritratto molto tempo prima, all’alba di quello stesso secolo, in uno dei più inquietanti disegni a penna e inchiostro di china che compongono il ciclo grafico che lo ha reso celebre: quello dedicato ai Racconti Straordinari di Edgar Allan Poe.

Il disegno è il William Wilson o L’immagine dello specchio, realizzato da Martini nel 1909, anno della sua settima partecipazione alla Biennale di Venezia (grazie al suo mentore, Vittorio Pica) proprio con le prime otto Illustrazioni per le Storie di Edgardo. A quel tempo l’artista era nel pieno della “febbre” per i Tales e, in una sorta di processo psichico di identificazione, aveva voluto dare i propri asciutti ed eleganti tratti al protagonista del racconto, a William Wilson, a colui, cioè, che, alla fine di tutto, realizza con orrore che il nemico appena ucciso altri non è che sé stesso. Si era perciò raffigurato, riflesso in un immaginario specchio, nell’atto di scrutare con la coda dell’occhio “l’altro” sé, sogghignante alla debole luce di una candela, un attimo prima di essere colpito a morte e di annunciargli: «Tu hai vinto […] ed io cedo. Ma tu pure, da questo momento, sei morto. […] In me tu esistevi – e ora, nella mia morte, in questa mia immagine che è la tua, guarda come hai definitivamente assassinato te stesso». Macabre suggestioni, quelle di Poe, che non potevano non sollecitare Martini a disseppellire i segni, le immagini, i simboli che si celavano sotto la superficie del reale, alimentando in questo modo la sua complessa interiorità e arricchendo la sua arte fantastica.

La statua di Edgar Allan Poe a Boston, Massachusetts, all’angolo tra Bolyston Street e Charles Street. MZ, 2022

Era un bizzarro gioco di evocazioni, di giustapposizioni e di sovrapposizioni quello che univa Alberto Martini, Edgar Allan Poe e l’appassionato traduttore francese di quest’ultimo, Charles Baudelaire. Allo stesso modo in cui lo scrittore nativo di Boston e la sua opera rappresentavano per Baudelaire il proprio doppio e l’estensione della propria opera, così i due autori “maledetti” rappresentavano per il visionario pittore e disegnatore italiano i propri alter ego, les génies semblables à lui. È una corrispondenza perfettamente riassunta, peraltro, dal critico d’arte Giorgio Villani nel saggio Alberto Martini tra i libri: «Martini, che scelse d’effigiarsi nelle fattezze di William Wilson – il cui racconto nelle note baudelairiane era giudicato larvatamente autobiografico -, doveva finir con l’essere non soltanto il doppio di Poe ma anche dello stesso poeta, cioè il doppio d’un doppio».

L’imponente ciclo grafico dei Racconti Straordinari è considerato il capolavoro dell’artista nato nel 1876 nella trevigiana Oderzo, l’Opitergium romana, e morto nel 1954 a Milano dopo aver vissuto, studiato e operato tra l’Italia, la Germania, Londra e Parigi e anticipato alcune delle tematiche poi sviluppate dal Surrealismo. Il ciclo si compone di oltre cento tavole alle quali aveva cominciato a lavorare nel 1905 (e fino, grosso modo, agli anni Trenta) utilizzando «le più sottili penne del mondo Made in England» su «carta piccolo cavallo» che faceva «arrivare dalla Germania» e «l’inchiostro di Cina che veniva dal Giappone». Ad ispirarlo, solleticandone curiosità ed emozioni, era stata la lettura delle traduzioni francesi curate da Baudelaire anziché le versioni in lingua italiana che nel nostro Paese circolavano ormai da cinquant’anni.

È soprattutto a “questo” Alberto Martini che la Fondazione Oderzo Cultura dedica la grande mostra Le storie straordinarie. Alberto Martini ed Edgar Allan Poe, visitabile fino al 25 marzo negli spazi di Palazzo Foscolo a Oderzo, dove ha sede anche la pinacoteca a lui dedicata. Centoventi le opere originali esposte – tra disegni, incisioni, olii, pastelli, volumi -, prestate da musei, collezionisti e dagli eredi, che raccontano l’oscuro universo onirico martiniano. Dai primi lavori a quelli realizzati in età matura passando per i numerosi autoritratti nei quali ha dato vita al suo inconscio e illuminato le forze duali che lo abitavano. La mostra approfondisce poi l’utopia del Tetiteatro e ripercorre tutte le sfumature creative della sua produzione, compresi i cicli ispirati a Dante, a Shakespeare, alle farfalle, ai Misteri e, appunto, ai Racconti di Edgar Allan Poe. Interessante è anche la sezione in cui le tavole di Martini sono messe a confronto con gli artisti italiani e stranieri che prima di lui hanno interpretato Poe: dallo “Scapigliato” e poi Divisionista Gaetano Previati, ad Illemo Camelli, da James Ensor ad Édouard Manet.

Soprannominato dalla critica britannica del Novecento «il genio italiano della penna e dell’inchiostro» (quello inglese, Aubrey Beardsley, era morto giovanissimo qualche decennio prima) e paragonato a un mostro sacro come William Blake, di Alberto Martini lo storico dell’arte Carlo Franza ha scritto: «Nonostante la sua pregevole e vasta produzione, rimane ancora un artista occulto e poco centrale, continuando ad aggirarsi, come un’anima dannata, tra le zone inesplorate della storia dell’arte».

Appassionato di spiritismo, teosofia e metempsicosi, cresciuto studiando i maestri della tradizione incisoria tedesca, illustratore della Divina Commedia, dell’Amleto, del Macbeth ma anche di opere di Victor Hugo, Stephane Mallarmé e Arthur Rimbaud, Martini è stato un simbolista, un anticipatore del Surrealismo di André Breton, un precursore dell’arte del sogno e dell’inconscio degli anni Venti e Trenta e un artista totale, capace di guardare oltre il suo tempo e di attraversare l’incredibile stagione che dai fasti della Belle Epoque è precipitata nella tragedia della Grande Guerra.

È assai strano che una figura simile, così moderna, così amata, tra gli altri, da Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Alfred Hitchcock, fatichi ad uscire dai luoghi nascosti dell’arte, e chissà che la mostra opitergina, insieme a quella sulla Danza Macabra da poco conclusa al Castello Sforzesco di Milano, riesca a porre finalmente rimedio.

«La sua attualità è sconcertante», conferma a Domani Alessandro Botta, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino e curatore di entrambe le mostre insieme con Paola Bonifacio, già referente dell’Archivio dell’artista: «E’ attuale non solo perché nei suoi disegni dedicati a Poe mescola elementi medievali ad altri a lui contemporanei, come le reclame pubblicitarie o persino le influenze che arrivano da mondi lontani; ma anche perché il suo linguaggio grafico così nuovo per quei tempi è stato capace di imboccare strade originali, inaspettate, ispirando  forme d’arte diverse come il fumetto d’autore, il cinema e, in particolare con la serie sulla Danza Macabra, alcune ricerche sul tatuaggio. A distanza di oltre un secolo, il suo stile, il suo linguaggio, il suo gusto, appaiono ancora giovanissimi, freschi, ed è per questo che Martini continua ad essere così apprezzato da tante generazioni diverse».

Monica Zornetta (Domani, 8 febbraio 2025)

Il link: https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/il-genio-della-penna-e-dellinchiostro-martini-vedeva-gli-stessi-spettri-di-poe-rxqgwj43

Il pdf: pdf-pagina-2025-02-07-DOMANI-NAZIONALE-DOMANI-15.pdf