Lotta al cambiamento climatico. «Previsioni meteo in soccorso al pianeta»

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In quale modo una nuvola può influenzare il clima? Quali sono le ricadute della sua formazione e dei suoi movimenti sull’ecosistema? Dove avrà un impatto maggiore? Da quaggiù non ce ne rendiamo conto ma sono proprio queste alcune delle domande che la scienza si sta ponendo per decifrare il cambiamento climatico.

Nei Paesi Bassi, ad esempio, dal 2019 sta tentando di dare una risposta un progetto internazionale  finanziato dal Consiglio delle ricerche (NWO) e sviluppato in collaborazione con il Centro meteorologico olandese dalla Technology University di Delft, di cui fa parte anche il giovane dottorando italiano Alessandro Savazzi. L’obiettivo è rendere sempre più accurate le previsioni e comprendere con maggiore esattezza che cosa accadrà nel nostro Pianeta quando le temperature saliranno ulteriormente.

Ma come c’entrano le previsioni meteo con l’emergenza climatica e la riprogettazione del futuro globale? «I processi atmosferici sono interconnessi», risponde Savazzi, «perciò il mutamento di un aspetto (apparentemente) piccolo può innescare dei feedback  in grado di incidere sul cambiamento climatico, e poiché le nuvole sono uno dei fenomeni meteorologici più incerti che ci siano» è sul miglioramento dei sistemi predittivi e sulla riduzione dei margini di errore che bisogna concentrarsi.

Insieme ad un gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Louise Nuijens, il 27enne studioso milanese laureato in Ingegneria ambientale al PoliMi con master a Delft e tesi alla Monash University di Melbourne (Australia), sta quindi lavorando per comprendere il modo in cui venti e nuvole interagiscono. Rilevare la corretta direzione e la velocità del vento e studiare il processo fisico che porta alla formazione delle nuvole sono, infatti, le grandi variabili capaci di mettere in crisi gli studi sul clima.

«Siamo partiti da un’indagine condotta nel 2020 alle Barbados per verificare un modello del Centro europeo per le previsioni meteorologiche (ECMWF): in quell’occasione si è scoperto che conteneva errori nella misurazione della direzione e della velocità del vento. Nella nostra attuale ricerca, concentrata in Olanda, in un contesto atmosferico perciò diverso da quello tropicale, cerchiamo pertanto di risalire alla causa dell’errore così da modificare l’equazione su cui il paradigma si basa», spiega.

«Spesso tendiamo a confondere eventi meteorologici ed eventi climatici: quante volte è capitato di chiederci se un avvenimento specifico, un’alluvione o un’ondata di caldo estremo, sia la causa oppure no del cambiamento climatico? La differenza la fa l’orizzonte temporale. I fenomeni meteo sono la variabilità nel breve periodo di una media in un arco di almeno 30 anni; tuttavia, accade che eventi atmosferici estremi come tornado, siccità, ondate di caldo o di freddo, comincino a verificarsi con frequenze sempre maggiori: a quel punto la media subisce una modifica e cambia la definizione di clima. In altre parole, noi diciamo che il clima sta cambiando perché si stanno verificando con maggiore frequenza eventi meteo estremi».

Quale ruolo giocano in tutto questo le nuvole? «Muovendosi in orizzontale, il vento trasporta umidità, compone o dissolve le nuvole, muovendosi in verticale trasporta energia, sposta masse d’aria, scalda, raffredda. Energia e umidità sono i fattori che partecipano alla loro formazione. Se sbagliamo a predire l’intensità o a calcolare la direzione del vento, sbagliamo anche ad interpretare il comportamento delle nuvole e non riusciamo a stabilire dove i fenomeni che esse provocano sono più intensi e i cambiamenti climatici più impattanti. Ecco perché avere una cognizione migliore del processo, anche su scale di pochi giorni, ci dà una comprensione a lungo termine e ci permette di migliorare le nostre previsioni climatiche», continua il ricercatore.

«Il clima influenza ogni aspetto delle nostre vite, incide anche sulla disponibilità d’acqua e di cibo e perciò la politica dovrebbe fare molto di più per la ricerca. Se fa poco o nulla è solo per un motivo economico. E’ una situazione che non si può modificare o combattere a livello di singolo Stato ma è una responsabilità che va condivisa: servono investimenti a lungo termine e la capacità di rompere il legame (dimostrato da diversi studi), tra Pil e le emissioni di CO2. Non possiamo continuare a fare finta di niente né permetterci di pensare che sia troppo tardi: semplicemente non ci sono alternative», conclude Savazzi. «Allo stesso tempo non dobbiamo credere di poter ricostruire oggi un equilibrio uomo-natura come lo conoscevamo 50 anni fa ma è necessario pensare ad un adattamento poiché anche se interrompessimo adesso di emettere CO2, l’inerzia climatica porterebbe il pianeta a riscaldarsi per il prossimo mezzo secolo. Il tempo per prevenire il danno ormai è passato ma siamo ancora in tempo per evitare che peggiori».

Monica Zornetta (Avvenire, 20 dicembre 2022)