Tunnel, cappotti e una cavallina. L’arte della fuga dalla prigionia
10/06/2024Scrivere di Tish Murtha non è semplice. Non lo è per il rimescolio di emozioni che le sue fotografie suscitano: uno stupore che diventa indignazione, poi rabbia, tenerezza e, infine, compassione. Non lo è per le vite e i sentimenti che quelle fotografie raccontano: l’umiliazione quotidiana dei giovani in cerca (invano) di un lavoro; la vulnerabilità delle donne che lavorano con il sesso; la ribellione, che mai si trasforma in impotenza, degli esclusi; la sincera allegria dei bambini che splende nella lugubre desolazione di ciò che li circonda.
Non è facile scrivere di Tish proprio per come è stata la sua, di vita: appassionata, generosa, ribelle; tanto forte da riuscire a tenere la schiena dritta e a non scendere a compromessi persino quando il lavoro non le veniva riconosciuto e pagato. Tish ha continuato a lottare in nome degli ultimi fino alla fine, arrivata nel marzo 2013 a causa di un aneurisma. Il giorno dopo avrebbe compiuto 57 anni.
Il talento potente di cui era dotata non le ha però evitato di soccombere ad un destino spietato. Negli ultimi tempi infatti, quando ormai viveva in miseria, senza nemmeno il denaro sufficiente per comprare i rullini fotografici, aveva capito che il suo corpo e la sua mente si erano arresi: a quel punto, aveva cominciato a riempire le sue dolorose giornate cercando un lavoro qualsiasi, arrivando a fare l’operaia in una fabbrica di carne – lei che era vegetariana – pur di sopravvivere.
Figura tra le più peculiari della fotografia documentaristica sociale nella Gran Bretagna degli anni della Thatcher e, più in generale, della storia della fotografia britannica del dopoguerra (come ha peraltro riconosciuto la Tate Gallery di Londra, scegliendo di esporre nelle sue sale otto scatti realizzati tra il 1978 e il 1981), Patricia Anne “Tish” Murtha è stata un’outsider nell’establishment che la “governava” e decideva il modo in cui andava rappresentata la lotta della working class.
Lei era per davvero immersa nella crisi e nella collera che il fallimento delle politiche sociali dei governi laburisti e conservatori aveva prodotto, non lo osservava dal di fuori: per questa ragione i suoi scatti sono molto più che “semplici” istanti di vita di gente qualunque fermati in una pellicola. Sono mezzi di denuncia (delle diseguaglianze economiche e sociali) e strumenti di difesa (delle classi condannate a subirle), sono studi etnografici e critiche sociali di tutto ciò che ha spaccato la Gran Bretagna e inciso profondamente, e forse irreparabilmente, sul futuro di tante comunità, in particolare del “suo” Nordest.
Nata nel 1956 nella cittadina portuale di South Shields da una numerosa famiglia di origine irlandese trasferitasi ad Elswick, sobborgo tra i più problematici di Newcastle upon Tyne, Patricia era cresciuta tra le ristrettezze economiche e le cinghiate del padre. Terza di dieci tra fratelli e sorelle, era stata obbligata, come gli altri, a lasciare presto la scuola per trovare un lavoro e contribuire alla magra economia della famiglia. Alla fotografia era approdata frequentando un corso serale a Newcastle: il suo insegnante, impressionato dalla sensibilità che traspariva dalle sue immagini, l’aveva convinta a presentare la richiesta di ammissione al Gwert College di Newport, nel Galles, dove il fotografo della Magnum, David Hurn, aveva da poco istituito un pionieristico corso di Fotografia documentaristica. I primi scatti di luoghi e persone abbandonate, escluse, li aveva fatti a Newport; dopo la laurea, rientrata a Newcastle, aveva quindi deciso di documentare le comunità marginalizzate del Tyneside dal di dentro.
La vita di Tish e il suo percorso professionale nel difficile contesto in cui si è svolto sono al centro di un documentario da poco uscito in UK, Tish, diretto dal regista Paul Sng, prodotto da Jennifer Corcoran ed Ella Murtha, la figlia dell’artista, alla quale si deve anche la digitalizzazione delle innumerevoli opere fotografiche e la creazione dell’archivio Tish Murtha. Attraverso le parole di alcuni tra i grandi fotografi britannici che l’hanno conosciuta – Chris Killip, David Hurn, Chris Critchlow – di amici e famigliari, Ella Murtha ricostruisce il lavoro appassionato della madre: ne sottolinea la speciale capacità di entrare in empatia con i soggetti che fotografava e di usare l’ironia, e talvolta il surreale, per raccontare ogni situazione.
Le immagini d’archivio che scorrono in Tish, inoltre, ci mostrano senza filtri i risultati di quel fallimento politico di cui Patricia era figlia: l’assenza di un vero lavoro per i giovani; di prosperità economica in un’area che da potenza industriale era diventata un ammasso di macerie; di abitazioni dignitose; di salubrità in quei sobborghi apparentemente disabitati ma tra i cui ammassi di calcinacci e rifiuti pullulava un’umanità piena di vita; di aiuti alle famiglie della working class dove i bambini non avevano di che mangiare; di pietà per la sofferenza di chi era stato lasciato da solo, vittima sacrificale del daimon neoliberista. Il documentario, che ha sorpreso e commosso pubblico e critica, è stato presentato in anteprima lo scorso anno allo Sheffield Doc Fest e di seguito in altri Festival internazionali, ha vinto il Leeds International Film Festival, è stato candidato a premi importanti come il BFE Cut Above Award del British Film Editors e trasmesso in prima serata dalla Bbc Four.
Quando, con la sua Olimpus OM1n, stava lavorando alle serie fotografiche Newport. 1976-1978, Elswick Kids (1978); Juvenile Jazz Band (1979); Youth Unemployment (1980), ad un reportage sulla povertà infantile nel Tyneside e al successivo Elswick Revisited (1987-1991), Tish sapeva bene di che cosa parlava. Lo sapeva perché conosceva tutto dal di dentro, perché lì era cresciuta.
Conosceva le strade dissestate, le case fatiscenti e i monolocali popolari di Elswick (“il peggior miglio quadrato dell’Inghilterra di quel tempo” afferma una delle sorelle nel documentario); conosceva gli uffici del DHSS, l’allora Dipartimento della salute e della sicurezza sociale, dove ogni giorno migliaia di persone si accalcavano per trovare un lavoro o richiedere il sussidio; conosceva i pub e le periferie di Newport e conosceva bene anche i locali notturni londinesi di Soho, battuta palmo a palmo con l’amica stripteaser Karen per realizzare la serie London by Night (1983).
Quei giovani senza un’occupazione, forzati all’ozio o a vagare senza meta per il quartiere erano i suoi fratelli, le sue sorelle, e lo erano anche quei bambini che saltavano dalle finestre di case ormai scheletrite e sui relitti delle macchine, che appiccavano fuochi o trasformavano ruderi di bow-windows in improbabili quinte teatrali. Non c’è mai rassegnazione nelle sue foto, come non ci sono le morbosità o i culti feticisti della “bella povertà” che tanto appassionavano una certa classe sociale e una certa intellighenzia del tempo; ci sono invece, energia e dolcezza: quella che traspare, per esempio, dall’abbraccio di un’anziana coppia di homeless che dormiva per la strada, a Newport, o nello sguardo complice dei due bimbi di Elswick.
Nella serie Young Unemployment ha raccontato la storia dei propri fratelli, tra i quali Carl, che sognava di fare l’attore teatrale ma che era invece rimasto intrappolato – come moltissimi altri giovani di Newcastle ma anche di Manchester, Glasgow, Birmingham, Liverpool – nello “Youth Opportunities Programme” governativo, che offriva ai giovani la sola opportunità di svolgere lavori manuali sottopagati, “quelli che gli adulti rifiutano per via del salario inadeguato”, aveva scritto la fotografa.
Un’occasione di riscatto aveva voluto darla ai bambini “di strada” della serie Juvenile Jazz Band. Rifiutati dalla banda ufficiale perché poveri, erano stati fotografati da Murtha in una sorta di doppia realtà: mentre lungo la strada principale sfilava seria e impettita, in assetto quasi militaresco, la banda giovanile in uniforme, nelle strade secondarie si svolgeva la parata giocosa degli altri che, in abiti semplici, da casa, suonavano con allegria e innocente spensieratezza strambi “strumenti” improvvisati.
Dopo la morte, i suoi organi hanno salvato la vita a quattro donne e restituito la vista a quattro uomini. La sua casa di Elswick, inoltre, è diventata un luogo di accoglienza per persone anziane in difficoltà.
Monica Zornetta (Domani, 13 luglio 2024)
Il pdf: Domani-14-7-2024-TISH-MURTHA-1.pdf
Il trailer del documentario: https://www.youtube.com/watch?v=a–g_BgBl1g