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La solidarietà può avere il sapore di un fragrante pane dolce pasquale, impastato con amore e lievitato in un luogo sicuro, lontano da ciò che lo può danneggiare. Un pane dolce della tradizione ortodossa che racconti, con i suoi simboli e i suoi ingredienti semplici, la terra da cui le mani che lo preparano sono fuggite, le famiglie che la guerra ha diviso ma anche le speranze e la gratitudine verso quelle mani “straniere” che nel momento del bisogno hanno saputo accogliere e confortare.

Mani, tra l’altro, capaci di impastare e che hanno imparato a preparare questo fragrante emblema della Pasqua russa e ucraina, il Paskha, trasformandolo in una sorta di lungo “ponte” di pace tra mondi, culture e tradizioni differenti.

Quella che vi raccontiamo non è solo una storia di mani e di dolci ma anche di persone coraggiose. E’ la storia di due giovani veronesi, Jacopo e Cecilia Castellani, fratello e sorella innamorati della ristorazione sostenibile, della loro locanda (quasi) vegetariana a Verona, della pasticciera ucraina Yuliia, 34 anni, da poco arrivata in Italia da Černivci con la figlia sedicenne e, infine, di un dolce tipico di quel Paese nel cuore dell’Europa.

Una storia cominciata nel 2019 quando l’allora 23enne Cecilia, appassionata di pasticceria artigianale, e Jacopo, 25 anni, laureato in Scienze della Comunicazione, decidono di rilevare una locanda nel quartiere di Borgo Trento, la Zen(km)zero, e di potenziarne la ricerca del gusto e la vocazione biologica ricorrendo sempre più ad una filiera corta o cortissima garantita dai piccoli contadini della zona. A muoverli é la necessità di investire sul proprio futuro ma anche la voglia di lanciare una sfida a tutti coloro che, davanti alle cose, mettono solo gli ostacoli e i problemi.

Per circa un anno le cose vanno a gonfie vele: la locanda diventa un punto di riferimento per gli impiegati degli uffici della zona e per gli amanti della cucina salutare, ma con lo scoppio della pandemia e la gran parte della clientela finita in smart working arriva la crisi.

«Le abbiamo perciò proposto di insegnarci qualche dolce tradizionale ucraino e un giorno è venuta nel nostro laboratorio, ha indossato il grembiule e ha impastato e cucinato il Pashka, mostrandomi ogni fase della preparazione e spiegandomi il significato delle decorazioni».

Ovviamente, non conoscendo l’italiano Yuliia nè l’ucraino o il russo Cecilia, a parlare sono stati, insieme con il traduttore automatico, i gesti delle loro mani.

«Dopo essermi  esercitata sotto la sua supervisione e aver ottenuto il suo ok, abbiamo deciso di inserire il dolce nel nostro menu di questa settimana pasquale. Preparo io stessa il Pashka su ordinazione», prosegue Cecilia, «e parte del ricavato della vendita la doniamo a loro. Poiché  Yuliia e la figlia hanno bisogno di ricominciare una nuova vita e considerato che se non conoscono almeno un poco la nostra lingua non possono svolgere nemmeno i lavori stagionali che il Lago di Garda e la sua zona offrono, le abbiamo iscritte ad un corso di italiano e ci siamo impegnati tutti in famiglia per aiutarle ad integrarsi, trovando loro qualcosa di temporaneo da fare. Lei, ma so che è così anche per la ragazza, vorrebbe restare in Italia e sogna di essere raggiunta dal marito, dopo la fine della guerra. Anche a noi piacerebbe poter lavorare con Yuliia in futuro, e con Jacopo abbiamo deciso che ci impegneremo al massimo per superare al meglio questo periodo post covid per poi pensare di organizzare qualcosa di più stabile per lei, magari proprio come pasticciera di Zen(Km)Zero».

Monica Zornetta (Avvenire, 15 aprile 2022)