Veneto, una terra dai molti interessi criminali
04/02/2009Mafia. Pasticche gialle
07/09/2009Erano convinti che in Veneto nessuno li avrebbe mai disturbati. Avrebbero potuto tranquillamente riciclare i proventi delle loro attività criminose attraverso una serie di operazioni immobiliari condotte con il favore di un imprenditore e di un finanziere. E all’ombra dei campanili e dei capannoni tra le province di Padova e Venezia avrebbero potuto ampliare il loro colossale giro d’affari rafforzando così il proprio potere. Ma Salvatore Lo Piccolo e il figlio Sandro, assurti a ruolo di reggenti di Cosa nostra dopo il clamoroso arresto di zi Binnu Provenzano, non avevano considerato il destino, o meglio, con il complesso lavoro della Procura antimafia di Palermo e delle forze dell’ordine che il 5 novembre 2007 ha stanato i due “imprendibili” latitanti e li ha rinchiusi in carcere.
Fino a quel momento, però, il clan Lo Piccolo aveva guardato all’area nordestina – e veneta in particolare – come a una terra di conquista; un grande feudo insomma, laborioso e cementificato, da annettere al proprio regno.
E sarebbero stati tre soggetti insospettabili, due dei quali accasati in Veneto, a sgombrare la strada al clan.
Si tratta dell’imprenditore di Codevigo (Pd) Claudio Toffanello, 48 anni, socio fondatore dell’impresa edile “Idea 3 srl” e titolare di una agenzia immobiliare a Piove di Sacco; del maresciallo delle Fiamme Gialle di Chioggia (Ve) Salvatore Cataldo, 49 anni, originario di Palermo ma domiciliato a Piove di Sacco, e del cugino di questi, il 39enne Marcello Trapani, fidatissimo legale dei Lo Piccolo, arrestato nel settembre scorso nel capoluogo siciliano con l’accusa di associazione mafiosa. Sarebbe stato questo giovane e ambizioso professionista a fare da trait d’union della cosca con imprenditori settentrionali per riciclare con discrezione, lontano dagli occhi di falco degli inquirenti isolani, i soldi della mafia.
Claudio Toffanello, al momento indagato per riciclaggio, avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel convincere Trapani a investire il denaro sul settore immobiliare, e in special modo su un’area di Chioggia-Sottomarina denominata “ex Adria Docks”, destinata a ospitare una ottantina di appartamenti. Una zona, quella compresa nel Piano di riqualificazione urbanistica ambientale, che Toffanello conosceva bene visto che soltanto un paio di anni prima la sua società aveva formulato dei preventivi di costruzione di villette bifamiliari. L’avvocato che oggi assiste la “Idea 3”, risultata peraltro estranea alla vicenda, assicura che tali preventivi sono “rimasti carta morta”.
Un affare d’oro, anzi, da 8 milioni di euro che l’imprenditore avrebbe inseguito con particolare zelo, ipotizzando anche – come emerge dalle intercettazioni e dai documenti bancari acquisiti dai pm – una variante al Piano regolatore generale.
E la probabilità, tutt’altro che remota, che l’imprenditore fosse a conoscenza dell’identità dei suoi “interlocutori” emerge tra le righe di un pizzino recuperato dai militari della Guardia di Finanza. “Toffanello – scrivono i magistrati palermitani – era a conoscenza che i capitali che dovevano essere investiti non erano del Trapani (…). Toffarello era perfettamente consapevole che l’avvocato rappresentasse qualcun altro ma anche che questo qualcun altro fossero i Lo Piccolo”.
A metterlo in contatto con il difensore del clan sarebbe stato il maresciallo Cataldo, inquisito per intestazione fittizia di beni ma in precedenza finito nei guai per aver minacciato il suo comandante (allora Cataldo prestava servizio a Piove di Sacco) con un “ti sparo in bocca”, urlato al culmine di una lite e costatogli il trasferimento di sede per incompatibilità. Sarebbe da attribuire all’impetuoso finanziere anche la richiesta avanzata al consigliere comunale di Alleanza Nazionale di Chioggia, Massimo Mancini (non indagato), di far entrare l’amico imprenditore nel business dell’”ex Adria Docks” aggiudicandosi la realizzazione di una parte degli interventi.
Sull’operazione veneta i boss di Cosa nostra contavano molto. A caldeggiarla e finanziarla c’era Calogero Lo Piccolo, il secondogenito del boss Salvatore, che in uno scambio di pizzini con Trapani si premurava di domandare: “Padova. Come è finita? Fammi sapere il tipo di investimento e quanto mi occorre…”. Alle spiegazioni dell’avvocato – “Lui (Toffanello, ndr) parlava di 8 milioni di euro. Si faranno 80 appartamenti a Chioggia con guadagno ad appartamenti finiti immediato perché vi sono già i compratori” – Lo Piccolo replicava: “Fammi sapere quali garanzie e informati tu come garantirci nell’operazione”. Detto fatto, il 16 giugno 2007 Trapani si recava a Venezia e poi a Padova alla ricerca delle dovute garanzie.
Ma nel Nordest il difensore della potente famiglia mafiosa era salito svariate volte. I suoi soggiorni, come testimoniano le fatture dell’hotel di Piove di Sacco dove Trapani usava soggiornare, venivano interamente “foraggiati” da Toffanello il quale, al bisogno, volava a Palermo per partecipare a colazioni di lavoro e ad importanti incontri con l’amico siciliano.
Appreso da Lo Piccolo di essere “attenzionato” dalle forze dell’ordine, Trapani a un certo punto decise di trasferirsi nella città del Santo per fare l’amministratore di una società immobiliare insieme con l’imprenditore padovano ma anche per continuare ad esercitare quassù la propria attività di legale. Ci avrebbe pensato il cugino a trovargli uno spazioso piede a terre in pieno centro. “Ho la mia vita a Venezia e a Padova – aveva raccontato a un paio di colleghi – ho tutti gli interessi là (…) questa società fattura 19 milioni di euro all’anno, diventerò amministratore” e poi, pavoneggiandosi, “Mi sono fatto una bella macchinina, una bella cayenne… la tengò là, non la scendo (…) A settembre chiederò il trasferimento…. Foro di Padova anziché Foro di Palermo…”.
Anche Calogero Lo Piccolo aveva accarezzato l’idea di trasferirsi nel capoluogo euganeo per seguire più da vicino la questione ma poi, dopo l’improvviso arresto dei famigliari, aveva preferito far salire il fratello Claudio, incensurato. A quel progetto il mafioso teneva troppo, tanto che in una intercettazione del 9 gennaio 2008 lo si sente sollecitare Trapani a dare corso all’investimento concordato con Toffanello e chiedergli: “Ci mandiamo a qualcuno sopra per quel… Per lavorare? Cominciamo l’ulteriore fase?”. Sette giorni dopo, però, anche per il secondo figlio di Salvatore Lo Piccolo si aprivano le porte del carcere.
Nei piani del clan siciliano quello di Chioggia non è il solo affare messo in piedi. Il piatto ricco è composto anche dai cantieri aperti a Cantarane di Cona, nei pressi del capoluogo saccisico (dove sono in fase di ultimazione otto villette trifamiliari realizzate proprio dalla “Idea 3”) e a Monteortone, nel comune di Abano Terme (Pd) con i suoi dodici appartamenti in costruzione. Esattamente qui, in questo placido angolo di provincia, Lo Piccolo e soci avrebbero voluto investire una parte di quegli otto milioni di euro che, hanno svelato le indagini, erano in ballo per costruire abitazioni da rivendere a ignari cittadini.
Ma, da Palermo, come fare arrivare a mille chilometri di distanza il denaro in contanti? Prima di finire in carcere il boss e il suo legale avevano deciso di affidare l’incarico a un aspirante calciatore ventenne, Antonino Randazzo, figlio dell’”uomo d’onore” della Marinella, Salvatore.
Il piano era semplice: il ragazzo, ex centrocampista del Terrasini segnalato a lo Piccolo dal procuratore sportivo Giovanni Pecoraro (ora detenuto all’Ucciardone con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione aggravata per altre vicende avvenute in Sicilia), avrebbe dovuto giocare in una squadra di calcio veneta, probabilmente la Piovese, di cui Toffanello è stato socio-sponsor, e allo stesso tempo fare da “corriere”, sfruttando i viaggi dall’isola al Veneto e viceversa.
Per rendere la cosa ancora più efficace, Marcello Trapani aveva pensato di acquistare pure altre società di calcio del Nord Italia: solo così la mafia si sarebbe potuta garantire dei binari sicuri sui quali far viaggiare la grande mole di denaro sporco.
Ma il legale non aveva considerato la giovanile esuberanza di Randazzo il quale, spiazzando tutti, preferì firmare il contratto con la squadra del Capaci, mandando così in fumo l’agognato progetto di espugnazione del Veneto da parte degli imprenditori di Cosa nostra.
Monica Zornetta (Narcomafie, 2/2009)