Il personaggio. Il misterioso uomo della tensione
24/07/2013Inchiesta. Dogane, tempesta sul concorso
30/09/2013I comuni non hanno più soldi e il welfare è ridotto al lumicino? I servizi sociali languono sotto il peso opprimente del Patto di stabilità? A tutto c’è rimedio. In tempi duri come questi c’è chi sta pensando di fare cassa “sociale” con i profitti del lavoro più antico del mondo.
Sì, avete capito bene: rafforzare le politiche rivolte agli anziani, all’infanzia e alle categorie disagiate – nervi scoperti all’epoca della recessione – utilizzando le entrate derivate dalla prostituzione quale professione regolarizzata, anche dal punto di vista fiscale.
La singolare idea è alla base di una proposta referendaria di abrogazione parziale della legge n.75 del 1958 – la cosiddetta Merlin, che chiuse le case di tolleranza e introdusse il reato di sfruttamento – che arriva dal sindaco di Mogliano Veneto Giovanni Azzolini, già finito sui giornali per aver installato lungo l’arteria che taglia in due il paese (il Terraglio, battutissimo da chi vende e da chi compra sesso) alcuni provocatori cartelli anti-lucciole. “In questi anni abbiamo provato di tutto per eliminare il fenomeno dalle strade, compresa la sanzione delle passeggiatrici e dei loro clienti, ma senza risultati”, spiega dal suo arioso ufficio in Piazza Caduti il quarantunenne Azzolini, un ex piddino folgorato sulla via del Carroccio.
“Poi abbiamo capito che ciò che non funzionava era proprio la norma, troppo vecchia e inadeguata per affrontare in modo contemporaneo un fenomeno che è cambiato radicalmente in questi cinquant’anni. Per la legge Merlin non è reato prostituirsi ma è vietato farlo dentro luoghi chiusi”, precisa, “così come è impedita la registrazione delle lavoratrici in appositi albi.
Il provvedimento legislativo, nel modo in cui era stato concepito negli anni Cinquanta, ha finito per svuotare le case chiuse, per sanzionare e mandare in galera gli sfruttatori ma anche, purtroppo, per riempire le strade di schiave. Con la nostra proposta, pubblicata il mese scorso in Gazzetta ufficiale e alla quale hanno già aderito moltissimi comuni italiani di diversi colori politici, chiediamo venga data la possibilità alle donne che scelgono di esercitare la prostituzione di regolarizzarsi in un apposito Registro Iva, come è d’obbligo per tutte le imprese, o in un albo professionale, diventando in questo modo lavoratrici autonome assoggettate alle normative fiscali in tema di tassazione.
“Inoltre”, continua, “prevediamo la possibilità di riunirsi in cooperative, di poter svolgere l’attività in luoghi chiusi come case, alberghi o strutture ricettive anche gestite in forma imprenditoriale con il relativo pagamento dei tributi. La gran parte degli introiti derivanti dalla tassazione, quantomeno a Mogliano, sarà destinata al potenziamento dei servizi sociali e del welfare. Vogliamo in questo modo sostenere le fasce più fragili: gli anziani, i bambini, chi vive la marginalità specialmente in questi anni di pesante crisi economica”. Nessun rifacimento del manto stradale, quindi, come molti moglianesi auspicavano, né la realizzazione di nuovi impianti di illuminazione nelle frazioni. La destinazione di quei profitti sarà, assicura il sindaco, totalmente etica.
“A sostenerci ci sono associazioni di promozione sociale come la Lega disabili, la quale ci ha fatto sapere che grazie a questa iniziativa di democrazia diretta il passo per introdurre anche in Italia l’importante figura dell’assistente sessuale, presente in molti paesi europei, si fa più breve. Abbiamo tempo fino al 30 settembre per raccogliere almeno 500mila firme valide e sperare così di superare lo scoglio della legittimità da parte della Corte di Cassazione. Ripeto: non vogliamo abrogare il reato di sfruttamento ma regolamentare un fenomeno che fattura svariati miliardi di euro e che la politica, schiacciata da una ipocrisia congenita, finge di non vedere”.
Ma siamo proprio sicuri che a tutte le prostitute interessi questa proposta? Già nel 2011 una escort romana, l’ex insegnante di greco e latino Tenera Valse, si era rivolta all’allora premier Mario Monti invitandolo ad avvalersi anche di loro per salvare l’Italia dalla crisi: “Ci faccia pagare le tasse”, era stato il suo caloroso appello.
E le altre? Le italiane già lavorano negli appartamenti, si autogestiscono e intascano tutto o quasi ciò che guadagnano, mentre le straniere, che “battono” sulle strade, sono delle vere e proprie schiave, vittime del racket.
“Probabilmente no, non interesserà a tutte”, esita un poco Azzolini. “A chiunque farebbe comodo svolgere una attività esentasse. Con questa iniziativa, in effetti, andiamo addirittura contro i loro interessi. Ritengo tuttavia che rappresenti un indice di civiltà e di eguaglianza oltre che uno sforzo concreto per togliere il fenomeno dalle mani della criminalità”.
Tanti buoni propositi che rischiano però di scontrarsi contro una burocrazia complessa e di degenerare nel populismo.
Di questo stesso parere è la pordenonese Pia Covre, battagliera fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute e oggi coordinatrice del progetto di prevenzione Tampep, finanziato dalla Ue. “Quanto dice quel sindaco non è la verità: la sua è solo propaganda. Stracciando l’unica legge che ha restituito la libertà alle donne salvano lo sfruttamento… altro che
regolarizzazione del fenomeno!”.
E’ scettica e anche un po’ irritata per le modalità di questa proposta di referendum, dove, dice,“non si parla di niente: si vogliono togliere le prostitute dalle strade per una questione di decoro. Non si tenta di trovare una soluzione chiara, responsabile, che coinvolga per esempio anche quante lavorano nei club, negli hotel e simili. E’ da trent’anni che noi del Comitato, insieme ad altri soggetti, stiamo studiando una modifica seria della legge… poi arrivano questi qui con il referendum per far riaprire i bordelli e far pagare le tasse! Sono convinta che se da parte loro ci fosse stato un autentico interesse, avrebbero fatto una proposta in Parlamento. A ogni modo, che raccolgano pure queste firme… poi vediamo”.
Di diverso avviso è un’altra donna che il mondo della prostituzione lo ha conosciuto molto da vicino: la milanese Ira. “Negli anni Sessanta quel mondo aveva un grandissimo fascino”, racconta questa ex bionda mozzafiato. E i suoi ricordi sono quasi degli scampoli antropologici: “C’erano le donne con i tacchi alti e la sigaretta col bocchino che passeggiavano lungo via Vitruvio, a Milano. Erano quattro gatte, tutte italiane, che attiravano i clienti solo con gli sguardi. Quando questi si avvicinavano, andavano a consumare in un albergo; quando vedevano un poliziotto, scappavano e si rifugiavano nelle toilettes dei bar. A quel tempo c’erano tante camionette della polizia che passavano, le caricavano e le portavano in Questura. La marchetta, in quelle condizioni, veniva fatta perciò nei momenti rubati. Oggi, invece, con tutta questa orda di donne sulle strade le cose sono diverse. La prostituzione è diventata un business industriale, dove a mangiare sono in tanti sulla pelle delle donne. E se siamo arrivati a questo punto vuol dire che lo Stato lo ha permesso, e se lo ha permesso, significa che anch’esso ci ha guadagnato. Non è uno Stato serio. Lo scriva pure”.
Ira condivide quasi tutti i contenuti della proposta di Azzolini: “La prostituzione è necessaria, ha un fine sociale e va dunque regolamentata. E’ giusto togliere le donne dalla strada e, se lo accettano, farle lavorare in una casa, magari dentro appartamenti liberi dove poter pagare un affitto. Due donne, non più di due, possono dividere le spese. Sarebbe interessante pensare anche alla costruzione di interi quartieri del sesso, come accade in altri Paesi. C’è solo una cosa che mi lascia perplessa: come si fa a sapere chi ci sta dietro? Come è possibile avere la certezza che nonostante tutto lo sfruttamento non continui?”.
Meno drastico dell’attivista Covre e tutto sommato in linea con Ira è il sociologo Gianfranco Bettin, assessore all’Ambiente del comune di Venezia, ex deputato Verde e negli anni Novanta promotore, proprio con Pia Covre, del progetto “Città e prostituzione” per il contrasto della tratta delle donne – specialmente straniere – ai fini dello sfruttamento. Un progetto che oggi viene studiato anche a livello internazionale.
“C’è innanzitutto da dire che i comuni sono lasciati soli e credo che questo sindaco, nell’immobilismo che persiste a livello di istituzioni nazionali, abbia comunque cercato di smuovere le acque. Sono d’accordo con Pia quando dice che il problema non va nascosto, non va affrontato come una questione di decoro o di ordine pubblico al quale si aggiunge la tassazione di quante esercitano. Io penso che, nel merito, la strada maestra da seguire è quella del riconoscere l’autonomia di chi sceglie di svolgere questo lavoro e di assicurare condizioni civili per loro e per i clienti.
“Il regime fiscale, a quel punto, diventa una conseguenza”, conclude Bettin: “La donna lavora, dichiara i redditi e paga le tasse. Lo diciamo noi del progetto Città e prostituzione, che in vent anni abbiamo mandato in galera qualche centinaio di appartenenti al racket, o strutturati o improvvisati; che da vent’anni, collaborando con la magistratura e con le forze dell’ordine, abbiamo liberato 400 donne dalla schiavitù. Una libertà che diventa completa solo dopo un periodo di reinserimento in un circuito protetto. Se si tolgono queste donne dalle strade e le si relega in appartamenti, significa riconsegnarle ad un altro sfruttamento, sebbene ammantato di legalità. E non esclude assolutamente il coinvolgimento, di nuovo, di quel racket bravissimo a riciclarsi”.
Monica Zornetta (L’Espresso, 12 agosto 2013)