Rapporto ecomafia 2011: il veneto in cifre (da inchiesta Mafie in Veneto)

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Il Veneto medaglia di bronzo sul fronte degli illeciti ambientali? No. O meglio, non più, secondo i risultati pubblicati nel Rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente. Rispetto infatti al 2006, anno in cui la regione si collocava al terzo posto nella speciale classifica (dopo la Campania e la Puglia), nel 2010 le cose sono cambiate. Il Veneto, con le sue 871 infrazioni accertate (somma che rappresenta il 2,8 per cento sul totale), le 680 persone denunciate, un soggetto arrestato e i 288 sequestri effettuati, ricopre una più onorevole dodicesima posizione, assestandosi tra l’Emilia Romagna e il Piemonte. Se osserviamo nel dettaglio la classifica – basata sui dati forniti dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto – e la consideriamo a livello provinciale, ci accorgiamo che su 110 capoluoghi italiani è Rovigo a detenere il “primato” veneto (è in 48esima posizione), tallonato da Venezia (alla 50esima) e Treviso (71esima). In coda compaiono Vicenza, Verona e Belluno.
Il Rapporto Ecomafia 2011 rammenta alcune delle recenti operazioni svolte nel territorio; operazioni che hanno smascherato delitti riferiti all’ambiente e disciplinati dal “codice ambientale” (articolo 260 del Dlgs 152/2006), l’unico dispositivo di legge a contemplare un illecito riferito all’ecosistema. Fino allo scorso aprile sono state ben cinque le Procure venete (Padova, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza) ad aprire inchieste ad hoc sul territorio. I risultati di queste indagini, specialmente sul fronte del “ciclo dei rifiuti”, collocano il Veneto al quattordicesimo posto su scala nazionale, al di sotto cioè della Liguria e al di sopra delle Marche. Un dato spiegabile con le 233 infrazioni accertate nel corso del 2010 (ovvero il 3,9 per cento sul totale), le 206 persone denunciate e i 60 sequestri effettuati. Tra le varie operazioni si annovera per esempio Ferrari come back (aprile 2011) della Dia di Napoli, che ha permesso di accertare la presenza di un uomo d’affari padovano, Franco Caccaro, dietro l’attività di Cipriano Chianese, il “re dei rifiuti” campano. L’imprenditore, titolare della “Tpa Trituratori”, un’azienda di Santa Giustina in Colle (Pd) specializzata nel settore delle macchine per la triturazione dei rifiuti, sarebbe stato cioè il prestanome del potente re della munnezza del clan. Gli investigatori ipotizzano che i suoi “servigi” potrebbero essergli stati pagati a peso d’oro, con somme di denaro poi utilizzate per aprire nuove realtà aziendali in giro per il mondo: da New York al Brasile, dall’Australia alla Turchia. Sono almeno tre i milioni che il padovano avrebbe giustificato come crediti personali, senza tuttavia riuscire a convincere gli investigatori, secondo i quali, invece, quel denaro sarebbe arrivato nelle sue tasche direttamente da Chianese. Il re della munnezza, vale la pena ricordarlo, ha alle spalle provvedimenti di custodia cautelare nell’ambito di indagini sugli intrecci tra soggetti che lavorano nel settore dei rifiuti e il clan dei Casalesi. Caccaro, invece, per diversi anni sarebbe stato socio con il pidiellino Clodovaldo Ruffato, il presidente del Consiglio regionale del Veneto, e altre due persone, della “Sica srl”, società il cui oggetto sociale era «la costruzione di caldaie e il ritiro di rifiuti recuperabili presso centri di trasferimento o piattaforme ecologiche».
L’altra operazione degna di nota è stata battezzata Money fluff, con riferimento a un traffico di rifiuti avvenuto nel 2007 nel Veronese. Le indagini si sono concluse nel 2010 con l’arresto dei vertici di una ditta di Arese, la “Rotamfer”, il sequestro dei suoi impianti di demolizione di veicoli e della discarica di Ca’ di Capri, nel comune di Bossolengo.
Anche il porto di Venezia è stato al centro di una fra le più interessanti inchieste condotte nel 2010. Nel corso dell’estate sono state sequestrate dal Corpo forestale dello Stato e dalla Capitaneria di porto circa cinquemila tonnellate di rifiuti ferrosi stipati in una nave proveniente da Augusta (in provincia di Siracusa), e destinate ad alcune acciaierie venete. I rifiuti venivano fatti passare per materia prima secondaria mentre, in realtà, erano rottami di automobili non bonificati provenienti da una ditta catanese. Il sequestro è stato convalidato dai giudici di Venezia e gli atti sono stati trasferiti alla Procura di Catania. Il gip di quest’ultima, però, ha archiviato tutto.
Il porto di Venezia, scrive chiaramente il Rapporto Ecomafia 2011, è la “testa di ponte di importanti traffici internazionali […] Venezia è seconda solo a Taranto quanto a numero di sequestri di carichi destinati oltre confine, circa il 20% del totale nazionale”. E sono proprio i rottami ferrosi, in particolare le componenti di veicoli fuori uso e gli pneumatici, i più “gettonati” in questi traffici che hanno, come terminale, il sud est asiatico. A fornire questi materiali, così come è risultato dalle indagini, sono aziende friulane, venete ed emiliane.
Altra ferita aperta è quella rappresentata dalle discariche abusive. A Brondolo, nel comune di Chioggia, sono stati di recente scoperti 18 mila metri quadrati nei quali sono stati interrati rifiuti di ogni tipo: ferro, plastica, cemento armato, asfalto, vetro, legno; rifiuti che, secondo la polizia locale di Chioggia, provenivano dalla demolizione di grossi edifici industriali. A sconcertare gli agenti è stata la massa di questi residui: oltre 15 mila metri cubi per un peso di 20 mila tonnellate. Un “volume”, scrive ancora il Rapporto Ecomafia 2011, “sufficiente a coprire un campo di calcio per uno spessore di tre metri”.
La provincia dove si commettono più reati di questo tipo è Treviso (90 le infrazioni accertate, 44 le persone denunciate, 18 i sequestri), seguita da Venezia (46 le infrazioni, 60 i denunciati, 21 i sequestri), Vicenza (37 infrazioni, 39 denunciati, 7 sequestri), Padova (23 infrazioni, 29 denunciati, 5 sequestri). Fanalini di coda Belluno, Verona e Rovigo.
Il cosiddetto “ciclo del cemento” e l’investimento dei soldi “sporchi” in immobili e imprese è una delle realtà che preoccupano maggiormente gli investigatori. Il peculiare tessuto economico e imprenditoriale veneto, infatti, rappresenta un vero e proprio magnete per la criminalità organizzata. E il numero dei beni immobiliari confiscati (84) racconta più di mille parole.
La poco onorevole classifica dei reati di tipo ambientale vede al primo posto Vicenza (con 25 infrazioni, 49 denunce, 4 sequestri), al secondo Verona (22 infrazioni, 31 denunce, 8 sequestri), al terzo Venezia (20 infrazioni, 22 denunce, 2 sequestri). Seguono Padova, Belluno, Treviso e Rovigo.  Tali illeciti vanno dagli abusivismi edilizi alle escavazioni selvagge fino all’utilizzo di rifiuti tossiconocivi per la realizzazione di strade, marciapiedi e altro. Un segnale preoccupante arriva anche dall’aumento dei centri commerciali e degli outlet, settore entrato a pieno titolo negli interessi economici di Cosa nostra poiché consente il riciclaggio dei capitali “neri”. Le conseguenze di questa “fioritura” sono l’occupazione del territorio, la trasformazione dei suoli agricoli in superfici destinate alla vendita, la scomparsa della rete dei piccoli negozi e l’abbandono dei centri cittadini.
Veneto ricco, operoso, e pure incline al malaffare. Sono infatti sempre più numerosi, anche qui, i casi di denaro offerto in cambio di appalti. A finire di recente in manette con l’accusa di irregolare aggiudicazione e gestione di lavori pubblici sono stati cinque imprenditori e due funzionari della provincia di Venezia. Dalle indagini emergerebbe che le tangenti sarebbero state versate per appalti di un importo complessivo di 5 milioni di euro; tale meccanismo riguarderebbe addirittura il 90% degli interventi di edilizia realizzati dall’amministrazione lagunare tra il 2006 e il 2008. Secondo l’accusa, garantendo la certezza dell’appalto alle imprese colluse, i funzionari infedeli ricevevano dagli imprenditori il 3% delle somme (la medesima percentuale imposta dai clan mafiosi) più alcuni benefit e altro. Tra questi, ricorda puntualmente il Rapporto Legambiente, “le ristrutturazioni di due case a Trieste (una da 350 mila euro) e una a Budoia (Pn), dove sono stati portati dei bassorilievi storici asportati da una scuola pubblica”. Tra le donazioni figurerebbero anche auto di lusso, mobili, cene in locali esclusivi e incontri con escort.
Intanto il 23 marzo 2011, a Verona, si è aperto il processo relativo a una inchiesta del 2008 su una lottizzazione costruita abusivamente a Peschiera del Garda (il villaggio turistico “I Borghi del Garda Resort Village”) mentre il 29 dello stesso mese è partito, sempre nel capoluogo scaligero, il processo “Gaio” nei confronti di 68 imputati, 13 dei quali accusati di associazione per delinquere, per fatti avvenuti nel comune di Gazzo Veronese. Secondo gli inquirenti, “gli amministratori e alcuni componenti della commissione edilizia avevano l’abitudine di non considerare i parametri fissati dalle leggi regionali in materia”. In altre parole, nel piano di assetto territoriale intercomunale ben 80 aree agricole erano state destinate a uso edificabile. Come se Gazzo con i suoi poco più di cinquemila abitanti, fosse un quartiere di New York!
Accanto ai rifiuti e al cemento si collocano anche le agromafie, come Legambiente definisce le frodi di tipo alimentare. Si tratta di un business che, per ovvie ragioni, sta al centro dell’attenzione di tutte le forze dell’ordine, in particolare del Comando carabinieri per la tutela della salute del nucleo agroalimentare e forestale e del Corpo forestale dello Stato. Le truffe a tavola si consumano in vari modi, anche mal conservando i prodotti come è accaduto a Verona, dove lo scorso anno i Nas hanno sequestrato 10 milioni e 300 mila uova (per un valore di 2 milioni di euro) nel magazzino di una ditta che rifornisce industrie dolciarie nazionali. Ciò che hanno scoperto le forze dell’ordine fa accapponare la pelle: prodotti custoditi a temperature non adatte e percolato di uova rotte che si era agglutinato sul pavimento mentre insetti e roditori seminavano ovunque i loro escrementi. Se non fossero state sequestrate, quelle uova sarebbero certamente finite dentro gli impasti dei panettoni venduti nel periodo di Natale.
Sono in assoluto aumento, infine, i reati contro la fauna, espressione tipica delle cosiddette zoo mafie: bracconaggio, commercio di animali protetti, allevamenti, pesca, caccia e altro interessano vistosamente il Veneto il quale, nella speciale classifica dell’illegalità, ricopre l’ottava posizione. Nel 2010 sono state 304 le infrazioni accertate (il 5,2 per cento sul totale), 125 le persone denunciate e una arrestata, 151 i sequestri effettuati. La “maglia nera” spetta alla provincia di Rovigo, addirittura sesta nella classifica nazionale riferita a 106 capoluoghi (dopo Reggio Calabria e prima di Palermo). Ma decisamente negative sono anche le posizioni di Venezia (30esima), Vicenza (50esima) e Verona (56esima). Treviso è al 79esimo posto, Padova al 91esimo mentre Belluno si assesta due posizioni sotto.

Monica Zornetta (Narcomafie, 2012)