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“Sogni? Purtroppo non ne abbiamo più. Io da questo mese sono in cassa integrazione e le prospettive, anche per mia moglie, non sono delle migliori. Speriamo solo di riuscire a pagare il mutuo della casa. E’ vero Giannina?”. Claudio e Giannina, 49 anni lui e 48 lei, sono operai del Linificio Canapificio Nazionale di Fossalta di Portogruaro (Ve), uno dei fiori all’occhiello della Marzotto spa, oggi risucchiati nella crisi che ha travolto anche il Nordest.

Erano gli anni Ottanta quando si sono conosciuti, in fabbrica: lei era addetta alla filatura, lui impiegato in un altro reparto. Si sono piaciuti, si sono sposati, hanno acceso un mutuo per acquistare la casa e messo al mondo due figlie. Allora il Linificio “viaggiava” benissimo e dava lavoro a interi paesi.

Per 20 anni Claudio ha fatto i turni di notte: solo così ha potuto mettere da parte qualche soldino per la famiglia; poi, nel 2006, il Linificio è entrato in crisi e anche per lui, come per altri lavoratori, è scattato il contratto di solidarietà. Le cose, a quel punto, hanno cominciato a complicarsi. “Il primo anno, lavorando il 25% in meno, la mia busta paga si è alleggerita di 200 euro al mese, il secondo anno complessivamente di 4500 euro. Fino ad ottobre portavo a casa tutti i mesi 1200 euro. A novembre non so ancora che cosa mi toccherà: lo saprò a dicembre, quando mi daranno la busta”.

Per Claudio e Giannina la fabbrica è sempre stata un importante punto di riferimento. Oggi è la più grossa incognita della loro vita. E’ l’argomento “principe” di ogni sera, a tavola. “Ci domandiamo spesso che cosa succederà se la fabbrica dovesse chiudere. Io e mia moglie non abbiamo ancora l’età per la pensione: a me mancano più o meno 7 anni, a lei qualcuno di più. In queste zone, inoltre, non c’è lavoro. E’ il portogruarese – dice, con un filo di rammarico – il profondo sud del nordest”.

Da Portogruaro a Bassano del Grappa le tensioni non cambiano. Pure qui sono molte, troppe, le famiglie che vivono sulla propria pelle gli effetti della crisi.

Anche Rosy, 36 anni, e Dario, 39, sono compagni di vita e di fabbrica. La loro storia d’amore è nata alla Siltal, 15 anni fa: lavoravano in reparti diversi, lei al montaggio e Dario in magazzino, quando sono stati centrati dalla freccia di Cupido. Riuniti sogni e ideali, nel 1996 si sono sposati e dopo pochi anni sono nati i due bimbi. Dal 2007 l’azienda metalmeccanica è in fase “di riorganizzazione”, il che equivale a dire: operai in cassa integrazione e stipendi che non superano i 700 euro al mese.

Parlare di sogni, per Rosy, oggi non ha più senso. “Viviamo nella casa di mia suocera eppure abbiamo dovuto chiedere un fido alla banca – racconta – perché non ce la facciamo ad arrivare a fine mese. Lavoriamo saltuariamente e, in due, portiamo a casa 1200 euro. Mi rattristo quando penso che, per sopravvivere, abbiamo prosciugato quello che avevamo messo da parte per il futuro dei nostri bambini.

“Ultimamente io e Dario risentiamo parecchio di questa tensione e le discussioni, e anche i litigi, sono diventati frequenti. La forza per lottare la trovo guardando i miei figli crescere sereni: cerchiamo di non far mancare loro niente, però – confessa – che fatica andare avanti quando non riesci a vedere un futuro”.

Sono storie di ordinaria difficoltà o, come sostiene il segretario regionale della Cgil, Emilio Viafora, “di grave impoverimento delle famiglie”. Come quella che stanno vivendo Gianpaolo e la sua compagna, entrambi giovanissimi, entrambi operai alla Sirma di Marghera, dove si sono conosciuti 4 anni fa. Gianpaolo, di origine casertane, è diplomato al liceo pedagogico, è in mobilità dallo scorso ottobre e tra 2 mesi diventerà padre. “Eravamo felici prima che il proprietario della Sirma decidesse di chiudere la fabbrica. Oggi mi ritrovo a non sapere che cosa accadrà domani; ogni giorno è una lotta. Mi ritrovo a portare a casa meno di 800 euro al mese: con questi riusciamo a malapena a pagare l’affitto. La mia compagna ne percepisce altrettanti e con quelli paghiamo le bollette e le altre spese vive. Per fortuna ci sono i miei suoceri: senza di loro non riusciremmo proprio ad andare avanti”.

Di sogni dice di averne uno solo: “Che la Sirma possa riprendere ad essere un sito produttivo e che noi si ricominci a lavorare. È per questo che continuo a lottare a fianco dei miei compagni. E la mia ragazza è con me”.

Monica Zornetta (Corriere del Veneto, 2010)