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«“E’ davvero bambù?” mi chiedono di solito i clienti quando scoprono che il materiale che ho utilizzato per le finiture delle loro case non è legno ma, appunto, bambù. A quel punto si appassionano a questo straordinario materiale, talmente versatile da sostituire perfettamente il legno ma, purtroppo, ancora poco conosciuto in Italia».

L’architetto Arianna Tessarin, titolare dello studio AT_Arch di Piacenza, non ha dubbi: se vogliamo parlare sul serio di risparmio energetico, di costruzioni sostenibili, di materiali ecologici non possiamo non parlare del bambù. «Una volta ingegnerizzato, tagliato ed assemblato, diventa un super materiale, molto simile al legno in quanto a resistenza e duttilità e paragonabile al ferro per la sua capacità di trazione. In più ha diverse qualità: è leggero e flessuoso, assorbe il 30% in più di Co2 rispetto ad un albero, non ha bisogno di pesticidi o erbicidi, ha una eccezionale capacità di bonificare i suoli inquinati ed è in grado di recuperare velocemente superfici abbandonate; quando lo si pianta ha una crescita veloce e abbondante, una produzione praticamente inesauribile e una possibilità quasi infinita di utilizzi, con pochi scarti», spiega Tessarin. «Rispetto ad un pioppo, che per diventare adulto ci impiega dai 12 ai 15 anni, la pianta del bambù matura in 4 o 6 anni ma già al suo terzo anno è sufficientemente resistente per essere impiegata nelle costruzioni. Inoltre, per usarlo non è affatto necessario radere al suolo l’intera piantagione, come accade nei pioppeti, ma basta tagliare ogni anno il 30% del bambuseto così da permettere ai nuovi germogli di nascere». E’ davvero il caso di dire: il bambù, questo sconosciuto!

Laureata al Polimi, l’architetto Tessarin ha cominciato a studiare e lavorare il bambù qualche anno fa, durante alcuni viaggi tra il centro America e i Caraibi. «Ero alla ricerca di materiali da costruzione eco sostenibili per i miei lavori di progettazione e restauro e mi sono imbattuta in questa graminacea, talmente flessibile e resistente da essere chiamata “l’acciaio verde”: le sue potenzialità le ho però scoperte in Porto Rico e in Colombia, dove, grazie a corsi specialistici, ho sperimentato modalità e tecniche di utilizzo. Ho usato il bambù nella sua semplicità, proprio come lo si trova in natura, solamente immunizzato per proteggerlo dagli attacchi degli insetti, dei parassiti e dei funghi: a quel punto l’ho tagliato e assemblato con le mie mani per realizzare delle strutture, una delle quali ha resistito persino all’uragano Maria».

Nonostante sia economico e ricco di possibilità green, in Italia il bambù non è, però, molto noto. Uno dei principali ostacoli alla sua diffusione è la mancanza di standard prestazionali certificati. «La  normativa esistente è estera, in particolare colombiana. Se in Europa ci sono comunque realtà che lo studiano e lo utilizzano – penso, per esempio, alla Spagna, con la copertura progettata da Richard Rogers e lo studio Lamela all’aeroporto Barajas, o alla Francia, con le case di Karawitz a Bessancourt – nel nostro Paese ci sono ancora diffidenze causate dalla mancanza di conoscenza e dalla carenza di materia prima: poiché la importiamo, ad oggi non ne abbiamo a sufficienza per ingegnerizzarla. Le poche cose progettate con il bambù, in edilizia, sono opere temporanee come padiglioni per fiere e mostre, anche se da anni con questo prezioso materiale lavora la Green B di Milano, che ha anche realizzato un centro polifunzionale a Vergiate (Va)», continua l’architetto piacentino. «E pensare che con il bambù si possono costruire case,  ponti, ponteggi, laminati, pavimenti, laminati compositi e per le coperture e poi, fuori dal contesto edilizio, può essere impiegato nel settore alimentare, in quello tessile, nel design e nell’industria cartaria». Mossa dalla volontà di creare ponti con l’estero, Tessarin sta da tempo collaborando con alcune innovative realtà italiane: «Con Genesi Light di Alessandria, per esempio, che ha allestito piantagioni di bambù Moso; con La Tigre, che coltiva il bambù Madake e, dal 2016, anche con Bamboo Puertorico. Crediamo tutti nell’eccezionale apporto che questa pianta può dare per migliorare il benessere delle nostre case, delle nostre vite e dell’ambiente».

Monica Zornetta (Avvenire, 13 febbraio 2021)