Effetto lockdown: le morti invisibili. L’altra faccia della “pandemia sociale” è quella dei suicidi per motivi economici

Urbanistica post pandemia. Meno negozi e più ristoranti: città ridisegnate dalla “fase 3”
01/07/2020
Lo sportello anti-crisi per le paure del lockdown
27/08/2020

Insieme a quelli del recovery fund, del debito e del Pil, ci sono altri numeri, in Italia, che girano intorno all’economia. Si tratta dei suicidi e dei tentati suicidi per motivi economici. Di loro si parla a fatica, sottovoce, sebbene siano il corollario di tutte le crisi vissute dal Paese da dieci anni a questa parte: dalla recessione del 2008 al default finanziario delle banche venete, dalla crisi del mercato del lavoro – specie nel Mezzogiorno – alla pandemia di Coronavirus. Numeri che lo scorso anno hanno raggiunto il minimo storico (98 casi contro i 201 del 2014, l’annus horribilis per i risparmiatori del Nordest) ma che stanno risalendo con prepotenza: dal gennaio 2020 al 31 luglio sono infatti 78; 61 dei quali registrati durante il lockdown. «Tuttavia sono numeri al ribasso», precisa il sociologo Nicola Ferrigni, direttore dell’Osservatorio suicidi per motivazioni economiche della Link Campus University a Roma. Imprenditori, dipendenti, lavoratori precari, pensionati: dietro a quelle cifre ci sono individui in carne e ossa e ci sono le loro storie, l’una differente dall’altra ma ciascuna delle quali legata all’altra dal filo delle difficoltà economiche.

«Sono uomini e donne di 45 o 50 anni, la fascia di età più a rischio (28,6 % del totale), che perdono il lavoro e non riescono più a ricollocarsi; che hanno difficoltà a riscuotere crediti dalla pubblica amministrazione o che non possono accedere al credito; c’è, per esempio, chi porta sulle spalle il peso del fallimento della propria impresa o il fornitore che non viene pagato». I dati dell’Osservatorio, che nel 2012 ha raccolto l’eredita dell’Istat (suo era il precedente report “Suicidi e tentativi di suicidio”), danno un quadro preciso del fenomeno. «Se prima del 2013 era concentrato soprattutto nel Nordovest e nel Nordest del Paese, e le vittime erano specialmente imprenditori, dopo quella data si è spostato nelle regioni centrali e meridionali, colpendo in particolare i disoccupati. A seguito della risalita al Nord cominciata lo scorso anno, in questi sette mesi del 2020 abbiamo rilevato un aumento dell’incidenza di casi nel Triveneto, principalmente tra gli imprenditori, e, a livello nazionale, un incremento anche tra i 25-34enni, passati dai 5,1 del 2019 agli attuali 18,2», spiega Ferrigni. «Quello del suicidio e dei suicidi tentati (60 da marzo al 31 luglio) è, insomma, un fenomeno che interessa l’intero Paese ma che, nonostante ciò, l’Italia non ha mai affrontato in modo serio. Abbiamo davanti numeri allarmanti che devono spingere la politica a concentrarsi su programmi economici e di Welfare più strutturati e attenti a chi non ha un lavoro, ai precari e agli imprenditori». Una rete “di supporto”, infatti, può salvare la vita, come è successo a Enrico, 52 anni, che fino all’arrivo della pandemia lavorava “in nero” in un ristorante del Nordest. Sposato e padre di due figli, il lockdown lo aveva costretto a casa – dove assisteva la moglie ammalata – finché si era ritrovato senza più risparmi, e, dal primo di giugno, anche senza lavoro. «Preferisco morire che essere indigente e non poter dare da mangiare alla mia famiglia», aveva detto, in lacrime, all’operatrice del servizio a cui si era rivolto in cerca di aiuto. Dal principio aveva fatto molta fatica ad accettare l’idea di un accompagnamento ai servizi sociali del suo Comune, ma poi, grazie al lavoro sinergico di vari interlocutori (tra cui l’Agenzia per il Lavoro e la Caritas), ha cominciato piano piano a superare l’angoscia e, grazie ad un lavoro stagionale, ad immaginare un futuro meno duro per sé e per la propria famiglia. Tuttavia, non sempre si riesce ad intervenire in tempo e per uno che ce la fa ce ne sono molti altri che non riescono ad uscire dal buio.

«La correlazione tra la perdita di una occupazione e il suicidio è ormai acclarata: era stato messo nero su bianco anche nel primo rapporto Osservasalute, nel 2008», fa notare Maurizio Montanari, psicoanalista emiliano che da tempo studia il fenomeno. «Gli effetti del periodo di lockdown, la chiusura di molte imprese una volta terminata la cassa integrazione, l’autunno prossimo, porteranno ad un aumento della massa di persone tra i 45 e i 55 anni che si ritroveranno alla fine del proprio percorso lavorativo. Soprattutto i soggetti più fragili, con patologie pregresse, vanno incontro a un ritiro sociale che non conduce semplicemente all’atto suicidario eclatante – pensiamo alla persona che lascia un biglietto su cui scrive “non ce la faccio più” e poi si toglie la vita – ma ad un lento lasciarsi morire ai margini, in silenzio, fino a diventare un invisibile sociale». Ideatore del progetto “Lavorare stanca, non lavorare uccide” promosso nel 2017 dal comune di Savignano sul Panaro (oggi concluso), Montanari racconta che «molti di loro, divorati dalla vergogna, trascorrono le giornate chiusi in casa o giocano d’azzardo, si imbottiscono di psicofarmaci o usano droghe e alcool o, ancora, diventano vittime di psico-sette». Perdere il lavoro, oggi, significa perdere ciò che compone la vita di una persona: gli affetti, la possibilità di pagare le rate del mutuo, di comprare l’auto, di mandare i figli all’università, di andare in vacanza, persino di curarsi. «E’ una falcidie che colpisce l’imprenditore come il portantino e si insinua in maniera più sottile tra chi già soffre di melanconia o di depressione o in chi ha tendenze paranoiche compensate. Credo che l’economia e la politica, alimentando a più non posso una condizione di precarietà lavorativa, abbiano scordato il valore del capitale umano; hanno creduto che l’individuo fosse adattabile a qualunque situazione, ma non è così. Non da noi: non abbiamo uno spirito anglosassone», osserva Montanari. «La gran parte dei progetti di sostegno psicologico oggi in funzione nel nostro Paese sono gestiti da volontari, da gruppi spontanei, e sono a macchia di leopardo, non strutturati. Le istituzioni, la politica, dovrebbero attivarsi, cominciare ad affrontare il problema, convocare degli stati generali perché quella dei suicidi per motivi economici è divenuta ormai una vera emergenza nazionale».

Monica Zornetta (Avvenire, 22 agosto 2020)

Il pdf: Suicidi Monica