L’intervista a Yolanda Villaluenga, autrice di “¿Documentos robados? Franco y el Holocausto”,

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«Un giorno un amico, ebreo francese, mi raccontò che a salvare la vita di suo zio era stato il governo di Franco. Non riuscivo a credere alle mie orecchie: sapevo infatti che in Spagna le sinagoghe erano rimaste chiuse per tutti i venticinque anni della dittatura e che il Caudillo considerava gli ebrei nemici del Paese. Mi sembrava incredibile, quindi, che li avesse protetti. Incuriosita, cominciai ad indagare: quel che emergeva era per me pieno di fascino ma anche di strazio, e decisi di proporre l’argomento alla Tve, la Television Espanola con cui già lavoravo. Fu così che cominciai a dare vita a questo documentario».

Yolanda Villaluenga, giornalista, scrittrice, sceneggiatrice e documentarista madrilena è la regista di “¿Documentos robados? Franco y el Holocausto”, una investigazione per immagini che, racconta lei stessa, «mi ha permesso di indagare dentro l’essere umano e di capire come, in circostanze anche estreme, abbia la possibilità di scegliere se optare per il male, per il bene o per l’indifferenza».

«Più mi addentravo nella storia e più restavo impressionata dalla politica utilitaristica, né filosemita e né antisemita, di Francisco Franco, che cambiava in funzione dei vincitori. Con gli ebrei, e ciò lo spiega con chiarezza lo studioso Jacobo Israel nel documentario, Franco si rapportava in maniera diversa a seconda che questi risiedessero nella penisola o nel protettorato del Marocco, che fossero sefarditi o ashkenaziti».

Esempio illuminante di questi opportunismi è il filmato propagandistico d’antan recuperato da Villaluenga negli archivi della Tve e collocato all’inizio del documentario. «Si tratta di una dichiarazione che Carmencita, la figlia di Franco, fece quando era giovanissima. Di questo filmato esistono due versioni sonore. Nella prima si sente il dittatore domandare alla ragazzina: “Vuoi dire qualcosa ai bambini tedeschi?”; nella seconda, modificata quando gli Alleati si erano prefigurati come i vincitori della guerra, la voce di lui chiede invece: “Vuoi dire qualcosa ai bambini del mondo?”».

Ad aiutarla a delineare una storia intrisa di ambiguità e di contraddizioni sono stati alcuni fra i più importanti storici spagnoli i quali, «generosamente», come sottolinea Villaluenga, «mi hanno facilitato l’accesso a moltissime informazioni su cui stavano lavorando. Un contributo fondamentale mi è arrivato, paradossalmente, anche dalla Germania, con quell’inesauribile fonte di informazioni che è il libro di Bernd Rother, “Franco y el Holocausto”».

“¿Documentos robados? Franco y el Holocausto” è stato presentato lo scorso anno a New York, dove ha ricevuto una accoglienza molto calorosa. «E imprevista – confida la regista – . La comunità ebrea, lì, è molto numerosa e le vittime hanno bisogno di sapere e di capire. Anche dopo la visione del documentario, molti continuavano a chiedersi e a chiedermi come era possibile che Franco non fosse stato il grande amico degli ebrei che loro reputavano. Quelli che sono riusciti a salvarsi, hanno provato una gratitudine infinita: e non è importante per loro sapere se l’aiuto è arrivato dal governo oppure da un diplomatico, da una guardia o da una persona del popolo. La loro riconoscenza si è estesa anzi alla Spagna intera, e a chi, a quel tempo, la comandava».

Monica Zornetta (Avvenire, 6 giugno 2015)